Regia di Elio Petri vedi scheda film
Per una volta parto dalla fine, o meglio dalla sequenza onirica pre-finale. Li c'è tutto il senso del film, li si consuma la morte del realismo, tanto caro prima alla letteratura e poi al cinema italiani.Nella sequenza onirica il protagonista, che ha confessato il suo delitto si trova di fronte ai suoi superiori che cercano in tutti i modi di fargli capire che non potrà mai essere condannato, perchè il nemico vero del potere costituito non è lui, ma tutti coloro che mettono in dubbio questo stesso potere. Non è un film contro la polizia, nè a favore, nel senso che vola più alto rispetto alle ideologie del tempo. Quello che il film vuole dimostrare è l'ambiguità del potere, la schizofrenia di Volontè oscillante tra la coscienza che gli dice di confessare e l'inconscio che gli dice di no, finisce per dare il ritmo al film.
I discorsi del protagonista , il movente che lo spinge ad uccidere , il fatto di accomunare i criminali comuni a quelli politici, sono le reazioni di un potere, di un qualsiasi potere, che si sente minacciato e che preferisce (forse) coprire l'omicidio di uno dei suoi membri piuttosto che cedere ai nemici. Il finale resta sospeso , il desiderio inconscio di Volontè ci viene mostrato, poi quando i superiori arrivano veramente cala il buio, la frase di Kafka e l'ambiguità del potere e del film che continua......
è stata oggetto di abusi per quarantanni ma resta formidabile.
nulla
l'altra faccia della medaglia del cinema di Rosi.
uno dei personaggi più potentemente ambigui della storia del cinema
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