Regia di Clint Eastwood vedi scheda film
Non uno dei capolavori di Clint, ma un buon film che lo vede tornare di fronte alla macchina da presa, incentrato su un protagonista coriaceo e politicamente scorretto che non poteva essere interpretato da altri.
A 88 anni suonati, l’immarcescibile Clint ritorna protagonista sul grande schermo, dirigendo se stesso nel ruolo di Earl Stone, un anziano floricoltore, dal rapporto travagliato con la famiglia che ha sempre trascurato a favore del’affermazione personale e della carriera, costretto dagli imprevedibili sconquassi della vita ad accettare, alla sua veneranda età, l’improbabile ruolo di corriere della droga per un cartel, ben lieto di reclutare un insospettabile da far passare sotto il naso delle forze dell’ordine.
Il personaggio, ispirato ad un articolo del New York Times sulla storia vera di un corriere della droga novantenne, calza a pennello ad Eastwood, che identifichiamo con facilità nei panni del vecchio reduce di guerra coriaceo e testardo, che, nonostante la pericolosità dei soggetti con cui si rapporta, non accetta di farsi mettere i piedi in testa da nessuno. Un personalità burbera ed orgogliosa che ha compromesso i rapporti familiari, quelli con la moglie (Dianne Wiest) da cui è divorziato da tempo e soprattutto quelli con la figlia (Alison Eastwood, tale anche nella vita), risentita per la sua assenza, mentre la nipote (Taissa Farmiga) è l’unica a prendere le sue parti. I rapporti familiari, più che le vicende di narcotraffico, sono il vero motore del film, ciò che spinge ad accettare l’insolito lavoro l’anziano leone, che il tramonto dell’esistenza mette di fronte alla solitudine ed ai rimpianti per non aver saputo, come gli rammenta l'ex consorte con una battuta fulminante, dedicare ai prori cari le stesse cure profuse sulle pregiate infiorescenze. Bradley Cooper, già protagonista di American Sniper, viene scelto per interpretare l’agente dell’FBI che combattendo il narcotraffico si metterà sulle sue tracce, mentre Andy Garcia è il boss che prende a cuore l’efficace corriere.
L’incorreggibile Clint ci tiene a dimostrare che, alla sua età, può permettersi tutto, anche indugiare nel politicamente scorretto alla faccia dei dettami della Hollywood liberal, con le ripetute battutacce sui/coi messicani, lesbiche e neri, con le inquadrature da Drive In sui corpi delle ragazze discinte alla festa del boss, che sembrano piazzate lì al solo scopo di far incazzare le femministe nell’era del MeToo.
Il comprensibile entusiasmo per il ritorno di Clint davanti alla macchina da presa, ha fatto gridare alcuni critici al capolavoro; addirittura , per qualcuno, è il migliore Eastwood degli ultimi 25 anni, quindi addirittura migliore di Mystic River, Million Dollar Baby e Gran Torino. A mio parere, invece, si tratta di un buon Eastwood, dallo stile asciutto che abbiamo imparato ad amare, ma certamente non allo stesso livello dei capolavori sopraccitati e nemmeno di quello del più recente, da me amato, Sully. Seppur non manchino scene di livello, come certi confronti con moglie e figlia o le divertenti difficoltà del nonno a rapportarsi con le moderne tecnologie, a livello complessivo, forse a causa di una sceneggiatura fin troppo sbrigativa su certi passaggi della vicenda criminale, alla pellicola manca l'impatto emotivo delle maggiori opere di Clint.
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