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Il Corriere - The Mule

Regia di Clint Eastwood vedi scheda film

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La recensione su Il Corriere - The Mule

di Malpaso
7 stelle

Ponendosi quasi come “le confessioni” di Eastwood, Il corriere – The Mule è un film estremamente intimo, probabilmente il più personale che egli abbia mai realizzato. D’altro canto va anche appurato che il suo sguardo registico, in alcuni momenti della pellicola, si dimostra appannato.

La recensione che segue la trovate anche sul mio blog.

 

C’era una volta Clint Eastwood: smorfia cagnesca, con cappello o senza cappello, e pistola puntata per dare un senso alla sua giornata (“make my day” non ha mai significato “fatti ammazzare”). Senza farla troppo lunga, pareva esserci ben poco dietro la mentalità di destra filo reazionaria che il grande attore californiano rappresentò nei suoi primi due decenni di carriera (tra la metà degli anni sessanta e la metà degli ottanta). Arrivò invece la svolta autoriale in cabina di regia, la messa in discussione della propria figura (Gli spietati e Bronco Billy solo per citarne un paio) e, per concludere, i capolavori degli anni duemila (Gran Torino e Jersey Boys secondo il sottoscritto). Ora, per parlare de Il corriere – The Mule, tutto ciò che il suddetto regista è stato per noi, per il pubblico, andrebbe messo da parte, dimenticato.

 

Perché l’opera che ci si trova davanti per certi versi risulta spiazzante: ponendosi quasi come “le confessioni” di Eastwood, Il corriere – The Mule è un film estremamente intimo, probabilmente il più personale che egli abbia mai realizzato. Earl Stone, il personaggio da lui interpretato, è un uomo giunto quasi al capolinea, costretto a riflettere sugli errori di un’esistenza intera mentre un mondo nuovo gli scorre davanti, estraniandolo sempre più. Si tratta forse di una lettera di scuse dell’artista alla propria famiglia, dato che non è difficile né inopportuno parallelizzare la fiorente attività da floricoltore del protagonista con quella cinematografica del suo interprete, quindi ci troviamo davanti ad un lavoro completamente apolitico, fatto inedito per il regista che solo pochi anni fa ammise di avere votato Trump.

 

In effetti, quella di Earl Stone è prima di tutto la storia di una persona che non riesce a sentirsi parte dei tempi vigenti e che non è in grado di comprenderli; da questo lato Eastwood è molto autoironico e conferma le sue due più grandi abilità, narrativa e recitativa, nel ridicolizzare il proprio corpo a favore del tema di fondo: un uomo vecchio e stanco, radicalizzato in ideologie e stilemi sorpassati (si guardino solamente le scene delle motocicliste lesbiche e della famiglia di colore che ha bucato la gomma), che affronta l’ultimo grande viaggio della sua vita per riallacciare i rapporti familiari (che sia fare da corriere ad un cartello messicano o girare un film poco cambia). D’altro canto va anche appurato che il suo sguardo registico, in alcuni momenti della pellicola, si dimostra appannato e (coerentemente?) fuori tempo massimo rispetto agli standard odierni (tutti i momenti con Andy García nei panni del boss del cartello messicano sono quantomeno artificiosi). Inoltre il film appare a tratti eccessivamente didascalico ed ha la colpa di non sfruttare al meglio un buon cast (Bradley Cooper e Dianne Wiest sotto la media) a favore del comunque bravo protagonista.

 

Ovviamente permane il tema portante dell’uomo solo contro tutti, sul quale Clint Eastwood ha costruito la sua immagine e che, a ben vedere, caratterizza tutti i personaggi delle sue opere, ed in Il corriere – The Mule ciò è farcito con lo stesso tono crepuscolare che ha spesso permeato gli ultimi trent’anni della sua filmografia. Earl Stone è a conti fatti il tipico personaggio eastwoodiano e la sua ultima, inevitabile evoluzione: la presa di coscienza di non avere avuto sempre ragione. Il risultato finale è quindi un’opera che rispetta l’impianto narrativo e l’afflato epico dell’autore, ma non aggiunge nulla di nuovo ad una poetica che ormai si è già espressa al massimo delle sue potenzialità.

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