Regia di Aislinn Clarke vedi scheda film
Dall'Irlanda un film che coniuga perfettamente il tema "esorcistico" con il found footage. Un compendio delle migliori situazioni horror, declinate in un contesto religioso. Paragonabile, senza esagerare, solamente al film di Friedkin (L'esorcista).
23 Ottobre 1960, Irlanda. Presso l'istituto cattolico "Lavanderia Maddalena", giungono i due sacerdoti Thomas (Lalor Roddy) e John (Ciaran Flynn). Su prescrizione del vescovo, a seguito di una lettera anonima contenente foto di una statua della Madonna, è infatti stata aperta un'inchiesta per indagare sull'autenticità di un miracolo, ovvero di una presunta lacrimazione (di sangue) mariana. Padre John si occupa di tenere un video diario, eseguendo costanti riprese -in Super 8- con una telecamera. Poco dopo essersi insediati nell'istituto, John e Thomas notano l'atteggiamento severo, nei confronti delle ragazze, tenuto dalla madre superiora (Helena Bereen). Mentre le lacrimazioni finiscono per coinvolgere tutte le sacre statue, John -in piena notte- avverte rumori di passi, singhiozzi, sussurri e voci di bambini che riecheggiano lungo i tetri corridoi. La suora che ha inoltrato la lettera anonima si manifesta e rivela un segreto: in un angusto scantinato viene tenuta prigioniera Kathleen O'Brian (Lauren Coe), una sedicenne rimasta inspiegabilmente incinta nonostante lo stato di vergine inviolata. Non solo, la ragazza conosce e parla greco antico.
"Per oltre 200 anni, la Chiesa cattolica d'Irlanda ha tenuto le donne rinchiuse in un istituto chiamato Lavanderia Maddalena. C'erano prostitute, orfane, vittime di abusi, inferme mentali, e donne single in stato interessante. Nel 1960, due sacerdoti furono inviati alla Lavanderia Maddalena per indagare su un presunto miracolo." (Didascalie prima dei titoli di testa)
"C'è il maligno in questo posto. C'è una ragazza rinchiusa in cantina. Ci è proibito vederla e parlargli. Il suo nome è Kathleen O'Brian." (La suora "pentita")
Convincente debutto in un lungometraggio da parte della regista irlandese Aislinn Clarke, che pure contribuisce alla costruzione di una sceneggiatura solida e impeccabile. Per questo esemplare demoniaco, il più riuscito e intrigante dai tempi de L'esorcista (1973), Clarke sceglie il rischioso sottogenere del found footage, ossia la narrazione viene esposta facendo ricorso a nastri di videoregistrazione rinvenuti in seguito, tecnica sublimata dal nostro Ruggero Deodato nel classico Cannibal holocaust (1979).
"Il Male circonda tutti noi, è in ognuno di noi. Al diavolo non serve nascondersi in una ragazza incinta. Vagabonda liberamente tra noi." (Padre Thomas)
Normalmente, in questo tipo di cinema, risalta una qualità approssimativa, dovuta a una messa in scena di tipo amatoriale, poco curata e -di conseguenza- con storie forzate dalla necessità di motivare le riprese in soggettiva. The devil's doorway rappresenta la classica eccezione che conferma la regola, per come Clarke sia riuscita efficacemente a mettere insieme i pregi delle riprese da pseudo-documentario con un montaggio intelligente, impreziosito da un attento (e fondamentale) uso degli effetti sonori.
"Apri le gambe ragazza, coraggio l'hai fatto spesso in passato. Pensa al nostro Signore, mentre soffre per le spine. Il prezioso sangue, i chiodi. Non sai che questa sofferenza è il suo dono a noi donne? Mostra un po' di gratitutine." (La madre superiora, mentre assiste al parto di Kathleen)
La cura della della fotografia, abbinata ai bei dialoghi (cosa purtroppo in via di estinzione) e alle ottime interpretazioni ne fanno un film praticamente perfetto. Sia da un punto di vista puramente di genere, sia per una predominante e continua critica verso alcuni atteggiamenti -al limite del delirante- tenuti da fanatici religiosi che sconfinano spesso nella patologia (la rigidità morale della madre superiora o lo stesso padre Thomas, orfano scettico e miscredente, finito nei panni di sacerdote per convenienza e non certo per Fede).
"Le bestie sono sotto di noi, all'Inferno. Sono in un limbo. Il bambino... il Paradiso è lassù ma loro sono all'Inferno, con le bestie... laggiù. In un certo senso il limbo è peggio. I bambini non hanno una madre, quindi sono io la loro madre. Loro stanno soffrendo per i peccati degli altri. Non è sempre cosi? I bambini morti, li hanno uccisi loro." (Kathleen O'Brian)
Puro cinema del terrore, in grado di gelare il sangue nelle vene (memorabile il santuario satanico, impressionanti gli attacchi inattesi della posseduta) per lo spettatore che ha, ovviamente, una cultura cattolica ma, allo stesso tempo, duro atto d'accusa alla rigidità e alla incerta bontà dei (fanatici) "praticanti". Questo inebriante connubio tra cinema alto e cinema viscerale fa di The devil's doorway uno dei migliori titoli nel suo genere, riuscendo -per gradi e con i giusti tempi- a rievocare quei brividi di paura che, legati alla cultura cristiana, sedimentano nel subconscio anche dopo la visione, per tornare ad emergere nel buio del crepuscolo, quando uno scricchiolio o un rumore non meglio definito, risveglia i nostri sensi dal sonno profondo. Magari alle 3,10 della notte, come accade al terrorizzato padre John. Cioè quel momento (dalle 3 alle 4 a.m.) che, stando ad una inquietante teoria, è stato definito L'ora del diavolo.
I sintomi della possessione diabolica
"Lingue che non dovrebbe conoscere;
forza soprannaturale;
tagli, graffi, morsi sulla pelle;
sensazione di freddo nella stanza;
posture innaturali del corpo;
Perdita del controllo;
scatti di ira e frenesia;
conoscenza di cose distanti o nascoste." (Padre John)
Bene e Male: due facce della stessa medaglia
"A volte si pecca per fare del bene. A volte non possiamo fare del male, senza fare del bene. Non ci sono certezze in questo mondo. Passiamo solo sperare che, sulla bilancia, il bene prevalichi sul male." (Padre Thomas)
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