Regia di Joel Schumacher vedi scheda film
Batman ed il suo fido compagno Robin, insieme per difendere Gotham City dai malfattori di turno, Poison Ivy e Mr. Freeze, intenti a recuperare l’ultimo diamante che occorre a quest’ultimo per far rivivere la moglie ibernata dello scienziato stesso. Ai due paladini si aggiungerà inaspettatamente Batgirl, bella e letale.
Schumacher è chiamato a completare il restauro dell’uomo pipistrello dopo la deriva burtoniana (“Batman returns”), ricolorando come in un albo a colori le tavole sbiadite del personaggio principe della DC Comics. Gotham City rimane algida e spettrale, con punte gotiche (basti pensare all’osservatorio cittadino, che non stonerebbe accanto alla cattedrale di Notre Dame de Paris), ma i vestiti, le chiome, i costumi dei personaggi che la popolano hanno le variazioni cromatiche forse anche eccessive (secondo dettami tra il pop e il kitsch, voluta fortemente dalla casa produttrice per ri-creare interesse “trasversale” attorno al franchise).
Quello di Schumacher è (forzatamente?) un Batman ipertrofico, quasi barocco, ricco nella messa in scena e negli effetti, maestoso nelle scenografie e fulgido nei dialoghi, che però talvolta rasentano lo stucchevole (specie per le battute dell’uomo di ghiaccio); dialoghi che tuttavia fanno pendant con gli ammiccamenti dei personaggi alla macchina da presa e gli effetti sonori sui generis. I suoni da commedia slapstick confermano, se mai non c’avesse convinto tutto il resto, che Schumacher crea il “suo” Batman su uno stile tutt’altro che asciutto, con ogni ripresa che pare desiderosa di dover dimostrare qualcosa. Un circo chiassoso e colorato che non appartiene in tutto e per tutto all’eroe della DC Comics.
I villain sono Poison Ivy (Uma Thurman) e Mr. Freeze (Schwarzenegger), piuttosto agguerriti e capaci, ma delineati senza la ferocia sanguinaria di Pinguino o l’arguzia di Joker. Clooney (che è riuscito a fare peggio di Michael Keaton) è adattissimo al ruolo, con o senza maschera ha la stessa espressione pietrificata.
“Batman e Robin” è vuoto pneumatico sul piano dei contenuti, e non solo se messo a confronto con quello (troppo) introspettivo e sociologico di Burton, bensì perché il “mestierante” Schumacher asseconda le volontà della produzione, badando quasi esclusivamente ad agghindare il tutto di pailette dimenticandosi della sostanza umana che c’è sotto la confezione.
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