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Kissed

Regia di Lynne Stopkewich vedi scheda film

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La recensione su Kissed

di moviemaniac
8 stelle

L'elemento più ricorrente e simbolico del film è la Luce: una luce bianchissima e commovente, che rende questa sottovalutata e bizzarra opera prima molto più che un semplice e magari "furbo" esperimento indipendente. È, invece, un canto sommesso e dolente sull'atroce solitudine della vita e l'incanto eterno della morte. Una tenue poesia sepolcrale.

 

La prima volta che vidi questo piccolo e coraggioso film indipendente fu pochi mesi dopo la sua uscita, prendendone a noleggio la VHS. Poi scomparve dalla circolazione, non uscì mai in DVD e nessuna rete televisiva mai lo trasmise (possiamo anche intuirne il perché). Fino a stanotte.

Come al solito, dobbiamo ringraziare Ghezzi e il suo Fuori Orario, che ci permettono di vedere pellicole altrimenti invisibili (perlomeno nel nostro Paese, notorio burundi culturale).

Rivedendo con più attenzione questo singolare e imperfetto gioiellino, con il tipico interesse fomentato da una lunga attesa, ho potuto apprezzare ancor meglio il suo coraggio, la sua atmosfera rarefatta e poetica, la sua ricerca in immagini d'una dimensione metafisica, la sua filosofia profonda e nient'affatto banale, la sua psicologia per nulla spicciola, la sua sensualità perversa eppure mai morbosa, mai esplicita o volgare. C'è come un alone di misticismo che permea l'intera vicenda della necrofila Sandra (una folgorante Molly Parker), una dolcezza soffusa e amarognola che lascia, alla fine della visione (mentre scorre sui titoli di coda la soave voce di Sarah McLachlan che invoca di non aver paura dell'Amore), un senso di struggente quiete interiore e malinconica serenità. Si avverte limpidamente che a dirigere questo film è stata una donna, poiché squisitamente femminile è il suo tocco, la delicatezza con cui tratta il controverso argomento, la sensibilità che trasuda da molte sequenze, fin dallo splendido incipit con l'adolescenza di Sandra (la giovanissima e intensa Natasha Morley), già percorsa da fremiti sensuali verso i corpi inanimati di piccoli animali. 
Ma ciò che più colpisce è la dimensione quasi sacrale che la regista infonde alle pulsioni erotiche di Sandra, e che la protagonista intuisce ed esplicita nei suoi atti apparentemente contronatura: come lei stessa spiega, infatti, a noi spettatori e al suo compagno (un convincente Peter Outerbridge), morbosamente incuriosito e infine fatalmente ossessionato dalla "diversità" della sua partner, ella riesce a vedere la Luce residua della vita nei cadaveri con i quali copula: ciò che sono stati, ciò che hanno amato, la loro energia ancor chiusa in quei corpi ormai freddi e immobili. Ed è proprio la Luce l'elemento più ricorrente e simbolico del film: una luce abbagliante e bianchissima che pervade tutte le scene d'amore necrofilo, una Luce commovente che lascia intravedere zone superiori dell'Anima e dell'esistenza, in un arco luminoso che unisce ogni principio ad ogni fine, e che rende questa sottovalutata e bizzarra opera prima molto più di un semplice e magari "furbo" esperimento indipendente. Sì, perché ciò che nelle mani di un qualsiasi altro regista dilettante poteva risolversi in un macabro e turpe spettacolo dalle immagini scabrose e rivoltanti, grazie al talento (mai del tutto emerso) della canadese Lynne Stopkewich si trasforma in un canto sommesso e dolente sull'atroce solitudine della vita e l'incanto eterno della morte. Una tenue poesia sepolcrale. Unica.

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