Regia di Olivier Masset-Depasse vedi scheda film
Quando accade una tragedia, un fatto davvero drammatico che sconvolge la vita di un essere umano, questo cerca in maniera anche ossessiva un colpevole, che sia dio, il caso, il destino o semplicemente un'altra persona. Lo fa perché ha bisogno di una risposta a un evento che non riesce a spiegare.
L'amicizia tra Alice e Celinè è solida e duratura. Oltre a essere vicine di casa, condividono l'esperienza di crescere bambini della stessa età, che frequentano la stessa scuola e sono anche ottimi amici. L'idillio iniziale lascia ben presto spazio alla tragedia, mostrando come in realtà il rapporto tra le due donne (compresi anche i mariti, in secondo piano e fin troppo remissivi) sia semplicemente frutto di un'abitudine ormai consolidata, che viene pressapoco distrutta con l'immane tragedia che colpisce Celiné e suo marito. Il rapporto di fiducia reciproca viene completamente rovinato, trasformandosi ben presto in sfiducia totale: tutti diventano colpevoli, e agire in maniera furtiva e controllata diventa necessario se si vogliono evitare altri drammi.
La colpa di ciò è spesso della nostra mente. Il cinema sin dalle origini ha raccontato lo strano caso della mente, mettendo in luce i dissidi, le contraddizioni e le paure che ci portano a vedere il mondo in maniera alterata, frutto per lo più dei nostri pensieri distorti. Mi verrebbe da pensare, per fare un esempio, a Hitchoock, padre e sicuramente massimo esponente di questo genere. Questo film si rifà molto all'impianto classico del cinema di Hitchoock, e non a caso è stato da molti definito Hitchoockiano.
Quando la mente diviene l'occhio con cui vediamo il mondo, la realtà viene travisata. La finzione e la vita vera non sono più categorie distinte e lontane, ma entrambe si presentano come alternative plausibili. Eppure, sappiamo benissimo che solo una delle due visioni è reale, mentre l'altra è invece apparente e frutto della visione del mondo causato dalla mente, solo che non riusciamo a distinguerle, ci sembrano entrambe possibili e quindi percepiamo il disagio di trovarci aggrappati a qualcosa che potrebbe non esistere ma essere solo il frutto dello sguardo nevrotico dei personaggi. La distorsione della realtà viene aiutata anche dalle scelte del regista Olivier Masset-Depasse. La macchina da presa si sofferma spesso sugli specchi, mostrandoci i rapporti sotto punti di vista differenti. Lo specchio è infatti oggetto che modifica la percezione di una determinata visione, proprio perché riflette ciò che vogliamo vedere, ciò che la mente impone di osservare.
Come dicevo sopra, il cinema ha sempre raccontato bene questo tipo di storie. Il tema della realtà distorta per colpa della nostra mente, ha affascinato registi e sceneggiatori, sebbene sia un tema complesso e difficile da raccontare. Usando le parole di Kathy Selden, splendida protagonista di Singin' in the rain, i film sono tutti uguali: una volta visto uno li hai visti tutti. L'(ab)uso di tale tematica, ha reso questo genere di film abbastanza prevedibile. Sfidare le frontiere del non-visto è difficile, richiede sforzo, pazienza e buona fantasia. Quella sensazione di già visto, viene completamente tradita dal cupo e inaspettato finale. La scelta è sicuramente notevole e controcorrente rispetto al genere, ma soprattutto rispetto a un cinema che vuole essere fin troppo sicuro e protettivo con i suoi spettatori (parole più meno riprese da Martin Scorsese durante la diatriba con Avengers e il mondo dei supereroi).
Merito dunque al regista e sceneggiatore Olivier Masset-Depasse, che rischia con la consapevolezza di poter infastidire e rovinare gli umori del (poco) pubblico in sala.
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