Regia di Mario Bonnard vedi scheda film
Tentativo fallito di raccontare il doloroso esodo dagli italiani dai territori passati alla Jugoslavia dopo la II Guerra Mondiale, nella fattispecie del film da Pola.
Un'occasione sprecata, ecco cos'è questo film. Del dramma degli esuli istriani e dalmati si parlava pochissimo in quegli anni, l'argomento era una specie di tabù anche per motivi politici. Si poteva dunque tirar fuori una bella pellicola drammatica che raccontasse la storia di quegli eventi, su cui ci sono stati decenni di polemiche, non sopite ancora del tutto. Invece Bonnard ne tira fuori un film fiacco, con personaggi banali, dialoghi da terza media, e attori inespressivi (soprattutto i protagonisti). Stupisce vedere, tra gli sceneggiatori, anche tal Federico Fellini, che fu anche una buona penna quando ancora solo scriveva.
La pellicola pende sicuramente dalla parte degli italiani in fuga e contro la Jugoslavia. Lo fa però in modo così semplicistico e puerile, e insieme smaccato, da togliere forza e credibilità ad una causa che aveva da sola molte ragioni. Vediamo tra l'altro l'improbabile personaggio di un prete che approva il comportamento di una giovane moglie che decide di partire con il bambino, lasciando il marito a Pola.
Un elemento ancora colpisce. Sembra che si stia giocando a "Tabù", quel gioco di società dove bisogna parlare di un dato argomento senza usare le parole più ovvie e utili. Ebbene, qui si parla dell'esodo di una buona parte della popolazione italiana dall'Istria e dalla Dalmazia senza mai pronunciare parole come Jugoslavia, Tito, comunismo, fascismo, partigiani, ecc. Sembra insomma che tutti, dagli attori a regista e sceneggiatori, siano poco convinti, titubanti e timorosi. E' ovvio che un film girato col freno a mano tirato non poteva essere che un fallimento.
Dopo decenni di retorica, strumentalizzazioni e polemiche, negli ultimi anni è emersa quella probabilmente che fu la verità sull'esodo degli italiani da quelle terre. Semplicemente i partigiani di Tito e le nuove autorità jugoslave, dopo aver gettato nelle foibe carsiche quelli che venivano ritenuti acerrimi nemici (ex-fascisti e presunti tali, sacerdoti, semplici intellettuali e insegnanti), disse o fece capire agli italiani rimasti che sarebbero state persone non grate se non si fossero adeguati al nuovo corso politico. Una gran parte di loro preferì o fu costretta a togliere il disturbo.
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