Regia di Gianni Amelio vedi scheda film
Film di difficile valutazione, per i suoi enormi alti e bassi. Vuole essere sintesi suggestiva del pensiero e della figura di un filosofo di rilievo come Campanella. Si era nel ’73: come al solito solo dopo il ’68 si sono potute dire verità universali che al potere conservatore sono sempre apparse scomode, e dunque da censurare, con quell’odiosa pratica di negazione della verità da cui deriva forse la maggioranza dei mal del mondo. In quel caso, ad essere denunciata è la Chiesa cattolica, con la odiosa e criminale pratica del processo senza diritti umani, comprensivo di torture: un classico dell’Inquisizione. Il film ha il merito di mostrarne l’inumanità profonda (sulla sua religiosità si lascia la risposta al pubblico competente). Di positivo poi ci sono: innanzitutto la fotografia, splendida; poi gli interni, meravigliosi spesso.
Di negativo c’è tantissimo: il film (pressoché introvabile, immagino anche per la censura ufficiosa; ma per fortuna su Youtube si può ancora vedere) dura poco, 1 ore e 20, e questo non è un male di per sé. Ma il regista, l’allora 28enne (solo durante le ventate rivoluzionarie i giovani hanno lo spazio minimo per esprimersi, e dire cose davvero nuove; e il ’68 fu questo, l’ultima stagione, cui sono seguiti oltre 40 anni di censura profonda dell’originalità e della verità) Gianni Amelio, calabrese e dunque conterraneo di Campanella, ha distribuito male i tempi: la prima mezz’ora è inguadabile, per la noia e l’insignificanza; poi alterna a buone e straordinarie citazioni (non si fa una gran fatica se si parte da un genio; bisogna almeno leggerselo tutto, se lo intende celebrare), proposte però in fretta (si consideri il testo filosofico, dunque quello di massima densità concettuale), ad altre davvero poco significative. Il tutto ricostruito all’interno di una intelaiatura narrativa piuttosto scialba.
Chi lo vede ha comunque un saggio del personaggio: in particolare della sua libertà di pensiero, e della sua ansia di giustizia, basata sull’egualitarismo cristiano come sulla critica dei mali reali del potere cristiano. Sotto il profilo storico, si insiste giustamente sulla congiura che il frate Campanella aveva ordito, per smuovere le secolari ingiustizie di aristocrazia e clero. Il suo profilo politico è correttamente mostrato come prioritario; ciò è facilitato dai reali riferimenti al comunismo che nel monaco domenicano ci sono eccome, come si vede ne “La città del sole”, il famoso e breve testo utopico di 40 pagine. Un comunismo a base cristiana peraltro sacrosanto, se uno almeno leggesse gli Atti degli Apostoli, considerati parola di Dio anche dalla Chiesa cattolica. Anche gli Atti si leggono in meno di un’ora, ma restano fondamentali per capire la totale assenza di proprietà privata su cui le comunità cristiane avrebbero dovuto fondarsi, se non avessero voluto tradire il Vangelo: se poi la storia sia andata così, si rimanda ancora il giudizio al pubblico competente. Si diceva, un comunismo su basi cristiane che (dopo il Concilio Vaticano II, dopo il ’68, e ai tempi del centrosinistra nella sua versione più matura, quella del compromesso storico Moro – Berlinguer), non poteva non avere un minimo spazio per essere riconosciuto. Salvo poi essere subito ributtato nell’oblio dell’ignoranza, come successo a tante verità importanti.
Campanella trovò modalità di sopravvivenza nuove, incredibili per l’epoca, tornando all’argomento in questione: fingersi pazzo per non morire, di fronte ad autorità e potenti sicuramente e realmente molto più pazzi, e certamente iniqui e criminali (si dice che Campanella, assieme a Bruno, chiude la stagione del Rinascimento, che ha conosciuto nell’ ”Elogio della pazzia” di Erasmo uno dei suoi vertici; il calabrese sembra qui incarnare in positivo l’opera dell’olandese). La sua storia (il libro del grande storico Firpo che la documenta si può trovare agevolmente nelle biblioteche) è una delle più famose in merito: una incredibile resistenza fisica alle torture (e ciò dimostrò l’inutilità delle torture, che non servono a fare emergere la verità, se l’imputato è forte, come dimostreranno a tutto il mondo i milanesi e italiani Verri e Beccaria a fine ‘700), coniugata al necessario ricorso a simulare una pazzia. Solo così, è noto, poté evitare l’uccisione da parte della Chiesa cattolica, comminata invece a migliaia di altri, spesso per motivi non meno ingiusti. Ma a che prezzo: 27 anni di prigione. Una storia tragica, contro la verità e a libertà di pensiero, che non si può ignorare, a scuola e non solo: altrimenti si è correi, ancora una volta, di assassini che non avevano motivo di uccidere, e di torturatori che non avevano motivo di infliggere i più terrificanti dei dolori. Volesse il cielo che anche questi crimini venissero ricordati nella Giornate della memoria, così (e giustamente!) reclamizzate per altri casi.
Un potere criminale, che costringe alla pazzia chi vuol essere buono e saggio: una contraddizione gravissima e del tutto ricorrente nella storia. Che in Campanella ha avuto uno dei suoi avversari più classici e più meritori.
Film utile nella ricostruzione della controriforma, per conoscere meglio i campioni del ibero pensiero che sono state vittime della Chiesa cattolica: ma è nettamente inferiore al livello di casi analoghi, guarda caso tutti fioriti attorno al ’68, come il “Galileo” della Cavani (’68) e ancor di più il “Giordano Bruno” di Montaldo (’73).
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