Regia di Paolo Taviani, Vittorio Taviani vedi scheda film
Nell’Italia post unitaria, un internazionalista organizza una scalcinata spedizione dimostrativa in un paesino umbro: catturato, condannato a morte e graziato, dopo dieci anni di segregazione viene trasferito in un altro carcere con alcuni giovani prigionieri politici e scopre di parlare un linguaggio a loro incomprensibile. La rivoluzione mancata, o meglio la rivoluzione impossibile: i Taviani, come di consueto, raccontano il passato per riflettere (amaramente) sul presente. Fra l’idealismo eroico ma inutile del protagonista, inflessibilmente devoto a una causa persa, e il pragmatismo dei giovani, che hanno abbandonato la tattica delle azioni individuali, corre la stessa distanza che trent’anni dopo la Resistenza c’era fra gli ex partigiani e la generazione cresciuta dopo il boom, negli anni del riflusso e del ritorno al privato. Ammirevole prova di Giulio Brogi, che per tutta la parte centrale resta da solo sulla scena e per non impazzire immagina deliziosi manicaretti e riunioni con i compagni di lotta. Ma la confezione è ispida, i passaggi sono troppo bruschi, il budget basso si fa sentire: meglio la rivisitazione ironica (ma altrettanto amara) compiuta in Allonsanfan.
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