Regia di James Gray vedi scheda film
Ai confini del cosmo per ritrovare il padre, e se stesso. Odissea nella noia e nella tristezza, in assenza di gravità e di originalità. Voto 5.
Far parte del firmamento delle stelle di Hollywood: ultimamente la metafora è stata presa molto alla lettera e tutte le star più rilevanti prima o poi finiscono nello spazio. Qui Brad Pitt, che ha NASA, scusate, ha naso per i ruoli di successo, si unisce alla nutrita compagnia di stelle più o meno luminose che hanno indossato casco e tuta (Bullock, Chastain, Green, Hathaway, McConaughey, Damon, Clooney, Gosling e parecchi altri), cercando, evidentemente, dopo il successo planetario anche quello galattico; deve però fare i conti con due grandi vecchi che, seppur confinati in piccole parti, gli rubano la scena col loro carisma spaziale, Donald Sutherland e Tommy Lee Jones (che torna sul luogo del delitto dopo l'avventura cosmica da space cowboy al fianco di Eastwood). "Padre nostro che sei nei cieli" diciamo pregando, ed è innegabile il fatto che tendiamo ad associare l'esplorazione spaziale a qualcosa che in qualche modo ci porta al di là della scienza, nei territori inesplorati dello spirito e del mistero religioso; ed è anche vero che il nostro modo di concepire Dio è l'astrazione di una figura genitoriale; è forse per questo che il cinema ha tante volte affiancato al viaggio nel cosmo l'idea della possibilità di andare con la scienza al di là dei limiti dell'esistenza, che pongono fine al rapporto tra genitori e figli. Il recupero tra scienza, fantasia e speranza di questo rapporto è il tema di film come "Contact", "Interstellar", "First Man" e di questo "Ad astra"; si tratta di un'idea tra il romantico e l'impossibile che indugia sulla scienza e trae il suo fondamento dalla filosofia cosmistica russa; potremmo definire questo filone di fantascienza filosofica "solaristica" dal titolo del capolavoro del genio Tarkovskij, che ha portato al cinema, tramite il romanzo del polacco Lem, questo tipo di sensibilità (indimenticabile in "Solaris" la scena dell'apparizione, in quella dimensione sospesa, del ricordo della madre). Ma il regista Gray sbaglia un bel po' di cose, tra lentezze (mal) calcolate che vorrebbero imitare l'"Odissea" di Kubrick, l'ossessiva insistenza sui primi piani del protagonista dalla faccia triste, la voce fuori campo che vorrebbe richiamare Malick e "The tree of life" con lo stesso Pitt ma aggiunge pesantezza ad una trama già faticosa di suo. Il film voleva arrivare alle stelle, ma non aveva una scorta sufficiente di quel carburante che gli avrebbe permesso di far viaggiare la fantasia dello spettatore, il talento.
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