Regia di James Gray vedi scheda film
NEI CINEMA ITALIANI DAL 26 SETTEMBRE 2019
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Un magnifico viaggio ‘on the stars’ quest’ultimo lavoro dello statunitense James Gray, che nel 2013 si attirò l’ammirazione del pubblico e della critica con l’applauditissimo C'era una volta a New York. Questo Ad Astra – presentato a Venezia con palpabile successo ma che poi ha raccolto meno del previsto – è una incantevole corsa su navette spaziali dalla Terra alla Luna, passando per Marte e poi fino alle soglie di Nettuno. Della serie: … io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi… E più il protagonista, l’ufficiale astronauta Roy McBride (un Brad Pitt di nuovo chiamato a una sensibilità espressiva degna di The Tree of Life) – e noi insieme a lui – si allontana dalla bellissima e rassicurante ‘biglia blu’ che l’ha generato, più si fa soffocante la mancanza del pianeta Madre, bellissimo, luminoso e, per noi esseri umani, smisuratamente accogliente.
L’opera ‘silenziosa’ e a tratti sin troppo cupa di Gray – i cui effetti sonori si sono guadagnati una candidatura all’Oscar (2020) – ha la capacità di stimolare la presa di coscienza che questa Terra da noi stessi martoriata, è davvero l’unico mondo che ci è concesso. E suggerisce quanto vano possa essere l’afflato di ricerca continua dell’uomo nello spazio. Per miliardi di chilometri nel nostro sistema solare non esiste altra forma di vita intelligente. Ed è per questo che quell’immensità buia e fredda, alla fine ci appare come un Nulla, un niente di niente rispetto a ciò che ci serve davvero, a ciò che già abbiamo ma di cui non sappiamo godere.
Il regista newyorkese si affida al frequente dialogo introspettivo del suo eroe e ci ricorda i soldati de La sottile linea rossa (Terrence Malick, 1998), ma anche il viaggio interiore del protagonista di Apocalypse Now (Francis Ford Coppola, 1979) nella sua discesa al ‘cuore di tenebra’ della vicenda. Un viaggio che è, infatti, anche la ricerca di un uomo che si è ‘perso’ per sempre, al di là del luogo in cui si trova fisicamente nascosto, ed è ormai una minaccia. Lo script scandaglia il rapporto figlio-padre (poco spazio per un anziano ma ancora opportuno Tommy Lee Jones, nei panni di papà McBride), anche qui in particolare attraverso il flusso di coscienza del figlio, del quale emerge il dramma dell’uomo cresciuto in assenza della figura paterna.
Nell’affresco di effetti speciali di prim’ordine e di una fotografia a tratti esaltante (la visione di questo film sul grande schermo dovrebbe essere un imperativo) James Gray, senza aver bisogno di un cast ‘stellare’ (a parte i due citati colossi e una particina per il grande e ancora pimpante Donald Sutherland), dipinge il quadro distopico di un’umanità ‘sotterrata’, prostrata ma, soprattutto, spaventata. E tuttavia, forse, ancora capace di avere speranza. Film molto bello, consigliatissimo. Voto 8,9.
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