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This Magnificent Cake!

Regia di Emma De Swaef, Marc James Roels vedi scheda film

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La recensione su This Magnificent Cake!

di mck
9 stelle

Spartirsi la torta.

 

 

Un furibondo (carne, roccia, fogliame, acqua, bava, piscio, vomito, sangue: pupazzi, scenografie e fondali di lana modellata e animata in stop-motion a passo-uno) condensato di assonanze, aggregazioni e provenienze che precipitando su sé stesso provoca una pacata esplosione di ulteriori funzioni, rimandi, significati e destinazioni: la... beh, sì... magnifica tecnica (il Michel Gondry di “Walkie Talkie Man” per SterioGram e il Garth Jennings di “the Hitchhiker's Guide to the Galaxy”), veicolo di pura commozione suscitata dalla pura bellezza della realizzazione (la raggelantemente viva fisicità materica della calda, ma inospitale all’uso che l’è proprio, lanosità di “Ce Magnifique Gâteau!” è pari alla forza espressa dalla tridimensionale trasparenza dell’acqua in “Finding Nemo/Dory e “Piper”, al marchio visibile del creatore sulle figure di plastilina di “Wallace and Gromit” e alla tridimensionalità concettuale di “Kirikù”, “Principi e Principesse” e “Azur e Asmar”), le tematiche (dall’appena citato Michel Ocelot allo storico come al nuovo cinema della de/post-colonizzaione - e penso al conradiano “Posto-Avançado do Progresso” che Hugo Vieira da Silva ha tratto dal “OutPost of Progress” dell’autore¹ anglo-polacco e al “Waiting for the Barbarians” di Ciro Guerra da J.M.Coetzee in buzzatiana zona Deserto dei Tartari -, passando per il Werner Herzog delle Fate Morgane, degli Aguirre e dei Fitzcarraldo, dei Cobra e delle Formiche Verdi, dei Diamanti Bianchi e degli Echi dai Regni Oscuri…) morali/personali, etiche/sociali e politiche/filosofiche e la feroce lucidità kubrickiana: è la morte, infatti (spesso artatemente scatenata dalle concause colpose del caso) - oltre alla discreta presenza onnisciente e reticente della barrylyndoniana voce narrante extra-diegetica -, che pervade, guida e promana da “Ce Magnifique Gâteau!”, sino alla consolazione in limine... mortis del nostos finale - l’impossibile ritorno a casa - che sfocia in Solaris attraverso la monolitica porta spazio-temporale della camera rococò di 2001 (espediente/dispositivo utilizzato di recente anche dal Jacques Audiard di “the Sisters Brothers”).

 


Un re, un inserviente, un riparato, un musicista, un disertore. Dove non v’è rapacità impera l’incoscienza e l’inconsapevolezza del mondo. Gl’indigeni, nel frattempo, abbozzano.
Poi, quand’anche il colonialismo assume sembianze “umane” - scientifiche, illuministe, “avanzate” - ecco che, comunque, nel tempo che fu ed ancora è, “gli africani erano oggetto dell'antropologia, non soggetto: la subivano e non la esercitavano” [Frank Westerman - “StikVallei” (l’Enigma del Lago Rosso) - 2013 (IperBorea, 2015)]. 

 


Opera prima della durata di meno di 3/4 d'ora (dopo alcuni corti girati in solitaria ed un altro, “Oh Willy…”, in sintonia contenutistico-formale con questo lavoro sulla media distanza scritto, diretto e montato a quattro mani) di Emma De Swaef (scenografie) e Marc James Roels (fotografia), “Ce Magnifique Gâteau!” altro non è che l’esplicitazione (im)parziale dell’Africa e del suo rigoglioso cuore di tenebra luminosa, brulicante, famelica(mente aggredita): una torta da spartirsi [inglesi, francesi, tedeschi, italiani, belgi (il Congo/Zaire, per l'appunto), portoghesi, spagnoli, etc…].

* * * * ¼

 

 

Note.

 

"Non vi piacciono i saccheggi? Allora odierete il British Museum." 


¹ Postill(on)a a corollario.
Considerando tutte le sterili e patetiche “polemiche” - in odor della Cultura del Piagnisteo stigmatizzata da Robert Hughes oramai più di un quarto di secolo fa - che ammorbano questi giorni già per altri e ben più terribili versi epidemici (tra virus letterali e virus sociali) di metà giugno 2020...

 

-{uno non può concludere in pace i festeggiamenti per la fine del Mo’ViMento delle Sardine capitanate dalla controfigura - per le scene di sesso - di Lodo Guenzi (il cui merito - dello svaporamento, della sublimazione, della terminazione, dell’ascesa a livello di gas nobile - è da suddividersi in egual misura tra l’autocombustione dello stesso e la pandemia CoViD-19 del SARS-CoV-2) ch’ecco che lo strascico delle sbatacchianti remore in coda al mastodontico corpo delle proteste (statue abbattute, decapicollate, affogate² - miti che noi s’eran già ridimensionati da tempo: in occasione delle Colombiadi aka EXPO 1992 genovesi e ancora più indietro nel tempo, felicemente piangenti - e smart tv e scarpe da tennis di marca fabbricate, assemblate, cucite e incollate dalle sapienti piccole manine della manodopera minorile terzomondiale arrubbate dalle vetrine sfonnate, ché non sia mai!) insorte a latere dopo l’omicidio di George Floyd da parte di Derek Chauvin, Tou Thao, Thomas Lane ed Alexander Kueng fa sentire il proprio lamentoso coro d’Imborghesiti di Merda, tipo che, “Oh, ma ce lo sai che HBO vuole contestualizzare...

 

-[“Addirittura? Minchia! Anatema!” Che grave affronto alla "nostra" (vostra) suscettibilità - data da un amor proprio pari a quello di una tenia intestinale - la contestualizzazione dell'opera ("No, il dibattito/cineforum no!" di morettiana memoria e i 92 minuti di applausi fantozziani... Poi, sarà senz'altro - non ho visto l'eventuale nota introduttiva HBO Max - più in stile giggimarzullo/pascalvicedomini che Alberto Farassino 7 Ciotta-Silvestri, certo...), sia pure "opportunista" e/o for dummies o meno che sia! Ché se ci si sente offesi dalla scritta "È severamente vietato sporgere la capoccia - palco di corna compreso - e arti amputabili dal finestrino!" diventa necessario porsi più che un paio di giuste domande... Per dire, Alberto Manzi non era sdegnosamente combattuto da Umberto Eco. Ed allora che all'analfabetismo di (eterno) ritorno si contrapponga la ecoitea neo-neo-televisione! Ma passerà pure questa moda passeggera!]-

 

...coso… come si chiama… “Gone to the Wind” (il film, ché il romanzo di Mitchell chi se lo caca, no? Sì, dico a voi, lacrimosi che frignano stracciandosi le vesti urlando alla “Censurahhh!!11!!), il maestoso polpettone sudista/segregazionista del ‘39 di Fleming & Selznick (in pratica come se “Avatar” fosse stato diretto da Mel Gibson), eh? Ma come si fa?!” E poi, per quanto riguarda quella sala cinematografica francese che lo ha tolto dalla programmazione dopo averlo messo come prima opera in cartellone per riaprire la stagione post-lockdown: che si sia persa un'occasione per organizzarlo, un dibattito/cineforum? Magari, chissà, non ci sarebbero stati saccheggi, assedi, scalate alle mura, arieti e trabucchi armati d'ircocervi infuocati...}-

 

...occorre riandare - giusto per testimoniare ch’è la Memoria a fare la Storia, ché altrimenti la Storia si (ri) fa da sé, e son dolori - alle parole già pronunciate e scritte e ai pensieri già espressi, con due paia di nomi: quello di Chinua Achebe («Fra gli Igbo c’è un proverbio: “Un uomo che non sa dire dove la pioggia lo ha colpito non sa neppure dove il suo corpo si è asciugato.” Lo scrittore deve dire alla gente dove la pioggia lo ha colpito.») e di James Baldwin ("We can disagree and still love each other, unless your disagreement is rooted in my oppression and denial of my humanity and right to exist."), e quello di Edward Said --[nato a Gerusalemme da genitori palestinesi cristiani e cresciuto prima in Egitto e poi negli U.S.A., insegnando per decenni alla Columbia University di New York, che in “Orientalismo” (“...l’oriente stesso era, in un certo modo, un’invenzione dell’Occidente...”) - e in “Cultura e Imperialismo” [ponendo anche l’accento sul volenteroso consenso che africani, arabi ed orientali riversano sulla “missione civilizzatrice” del borghese uomo bianco occidental-europeo-statunitense (a volte dotato di missionari anticorpi autocivilizzanti) con una “convinzione auto-giustificatrice dell'esistenza di un'idea o di una missione al di sopra del tempo, e in una struttura che ci avvolge completamente e che guardiamo con soggezione anche se, per ironia, siamo noi stessi ad averla costruita; una struttura che diamo ormai per scontata e alla quale, quindi, non prestiamo più attenzione...”], ridisegna {ancora Conrad, e poi Defoe, Kipling - dai Simpsons di “No Good Read Goes Unpunished”³ [ep. 15, stag. 29 (2017-'18)] alle avventurette di borisjohnson in Myanmar -, etc…} le mappe della Storia]-- e di Frantz Fanon (“i Dannati della Terra”).

 

Ma torniamo per un momento ancora proprio a quel 1939-'40. Non mi pare di sentire, oggi, le eco delle lamentose grida di sdegno che 80 anni fa si alzarono quando, l'anno successivo all'uscita britannica, "Ten Little Niggers" di Agatha Christie fu pubblicato in U.S.A., per non offendere la comunità afroamericana, col titolo "And Then There Were None". Forse perché nessuno, a parte qualche razzista, lanciò mosci strali e si stracciò le vesti (bianche con cappuccio).
Nota a margine: l'opzione "Ten Little Indians" suscitò meno proteste e venne accettata come compromesso in alcune parti del mondo, fra cui l'Italia: non erano rimasti in molti a poter protestare.


E poi c'è la grande piaga del blackwashing che toglie il lavoro ad Alec Baldwin: quando l’originale - un bianco appartenente per via ereditaria al ceto sociale della classe dominante - è imbattibile per idiozia, allora forse solo la copia conforme riesce a denudarne l’essenza, specchiandosi in esso, e riproporre l'essenza di un evidente minorato mentale in preda alla paura andatosi a nascondere nello scantinato del suo monolocale cagandos’in mano diventa (ancora, kubrickianamente) la fotografia della fotografia della realtà, la sua iperfedele, doppelgängheresca riproduzione.

² La posizione attuale della statua di Edward Colston by TerribleMaps...

 

³ Nessuna Buona Lettura Rimane Impunita...   

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