Regia di Sergio Stivaletti vedi scheda film
Fabio esce da Rebibbia, dopo aver scontato una pena di 8 mesi. Ad attenderlo fuori dal cancello c'è il suo amico Claudio, si intuisce immediatamente che tra i due c'è un rapporto di lunga amicizia, e che probabilmente Fabio ha scontato in galera la pena che avrebbe dovuto fare Claudio. Quest'ultimo, per sdebitarsi di questo “favore”, porta Fabio a festeggiare al bar del quartiere con gli amici, e tra un bicchiere e una sniffata di coca, gli ridà le chiavi del suo negozio di toelettatura per cani, che in questi mesi ha provveduto a rimettere a nuovo. Fabio è felicissimo di poter tornare al lavoro e da sua moglie Anna e sua figlia Silvia che lo aspettano a casa. Claudio però non è l'amico generoso che si può pensare in un primo momento: ex pugile, prepotente e cocainomane, teppista di quartiere, fa il bullo con i più deboli e si presta a ritirare il pizzo dai negozianti a favore del boss della zona. Senza arte né parte si approfitta più e più volte di Fabio per ottenere senza fatica la cocaina o altri tipi di favori illegali, utilizzando sempre più spesso anche nei suoi riguardi, la violenza e il ricatto. Fabio cerca di trovare la strada più corta per poter portare la sua famiglia lontana da quell'ambiente degradato e far crescere la figlia in modo onesto. La partita di una nuova droga da spacciare sul territorio pare essere l'occasione giusta. Intanto Claudio peggiora nei suoi atteggiamenti violenti, fino ad arrivare ad uccidere le persone che cercano di ostacolare la sua ascesa al potere. Fabio esasperato da tanta ingiustizia, frustrato e sempre più umiliato da quello che una volta considerava un amico, decide di ucciderlo.
Sergio Stivaletti è da sempre il re incontrastato degli effetti speciali in Italia, registi come Dario Argento, Michele Soavi e Aldo Lado, si sono rivolti a lui per le loro scene di grande effetto. Questa piccola presentazione di Sergio Stivaletti è doverosa prima di qualsiasi commento sul film: Stivaletti è un maestro degli effetti speciali, un amante del genere, uno che ha girato il mondo lavorando con i migliori registi (e anche con i peggiori), quelli come lui venivano (una volta) definiti “artigiani”, sono quelli che hanno contribuito a rendere un certo cinema magico e speciale. Come regista non ha avuto molto successo, il suo primo film è il sfortunato “M.D.C-Maschera di Cera” del 1997, progetto iniziale di Lucio Fulci, che doveva fare Dario Argento, ma che poi lasciò a Stivaletti per problemi di produzione. Da allora sono passati vent'anni, e forse proprio ad allora risale la prima idea sul film in questione “Rabbia Furiosa - er canaro”. La storia si ispira alla tremenda vicenda di cronaca del “canaro della Magliana”, risalente al 1988. Stivaletti cerca più volte di concretizzare il suo progetto, senza trovare mai i fondi necessari per una produzione seria. Il destino vuole che contemporaneamente al suo film esca anche quello di Matteo Garrone, “Dogman”, che si ispira anche lui alla medesima storia. Inutile dire quali dei 2 film ha ricevuto più attenzioni e distribuzione. Tutte queste premesse sono necessarie per mettere in luce una certa prevenzione che avevo nei riguardi del film di Stivaletti, mi aspettavo un splatterone sanguinolento, con poca convinzione registica, messo insieme in un lasso di tempo troppo lungo avrebbe mostrato le sue lacune produttive dovute ad un bassissimo budget. In più il confronto con Dogman (che mi è piaciuto molto), avrebbe offuscato il mio giudizio. Ebbene, oggi sono qui a dire che il film di Stivaletti è veramente buono, forse più fedele ad una ricostruzione storica dei fatti rispetto a quello di Garrone, pecca sicuramente nel finale in una dimensione troppo epica, cercando una enfatizzazione che cozza con la prima parte, che preferisco senza alcun dubbio.
Riccardo De Filippis è Fabio, il protagonista, un attore sconosciuto al grande schermo, riesce a mantenere un ritmo incalzante per tutto il film, dimostrando di aver compreso fino in fondo la complessità del suo personaggio e mostrandolo in tutte le sue sfaccettature. Virgilio Olivari è Claudio, altro attore alle prime esperienze, è altrettanto bravo e attento al suo personaggio. Il resto del cast è un insieme di ottimi comprimari, Antonio Tentori (sceneggiatore insieme a Stivaletti) si presta un piccolo ruolo, così il regista. Tutto il mondo underground del cinema di genere italiano sembra voler dare il suo benestare al lavoro di Stivaletti prestando il suo volto come Dario Argento e Lamberto Bava.
Chi si aspettava un sanguinolento splatterone (come me) rimarrà deluso (non come me). Il film di Stivaletti è delicato e attento a descrivere una periferia degradata e impaurita, pronta a trasformarsi in qualcosa di ancora più terribile. Il regista non punta il dito sulla criminalità conosciuta e “collaudata”, quella viene individuata e combattuta dalla polizia e dalle istituzioni. Chi rischia di trasformarsi in un mostro sanguinario e assetato di vendetta è proprio il soggetto mite e mansueto, che per troppo tempo ha subito i soprusi e le angherie di chi si crede il più forte. La rabbia del canaro è la rabbia di una intera comunità che non vuole più tollerare la violenza, che non trovando altre vie di scampo si trasforma in una sorta di mostro vendicatore in cerca di riscatto.
Ottima la colonna sonora di Maurizio Abeni, che crea con un motivo popolare romanesco originale, la giusta atmosfera per immergersi in questa storia cupa. Sergio Stivaletti firma: regia, soggetto (con Antonio Lusci), sceneggiatura (con Antonio Tentori e Antonio Lusci), scenografia (insieme a Tonino Di Giovanni), è il produttore e il produttore esecutivo, ma la vera firma al film è la testa mozzata che si vede ad un certo punto: riconoscerei le opere del maestro Stivaletti in mezzo a centinaia di teste decapitate.
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