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Rosa

Regia di Katja Colja vedi scheda film

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La recensione su Rosa

di Baliverna
7 stelle

Una coppia avanti negli anni e in crisi, un lutto che pesa come un macigno ancora dopo anni, una luce in fondo al tunnel. Il tutto a Trieste, e un po' in Slovenia.

 

Si tratta di un caso abbastanza raro di film per alcuni motivi. La locazione di Trieste è infrequente, ma non è poi così rara. Lo sono, invece, l'uso del dialetto triestino (che praticamente non ha cittadinanza nel cinema italiano, a differenza di altri dialetti), e quello, più sporadico, dello sloveno (sottotitolato). E poi, le numerose fiction girate negli ultimi anni nella mia città natale non mostrano affatto i luoghi che si vedono in quest'opera dimessa e minimalista. Per la verità, la macchina da presa non mostra molte panoramiche, ma piuttosto dei “quadretti” e dei luoghi non turistici, che tuttavia i triestini riconoscono subito.

La regista Katja Colja è anche co-sceneggiatrice e opta per dialoghi piuttosto radi e corti, direi riusciti, dai quali si evince passo dopo passo il pregresso e il presente nel quale si muovono la protagonista e il marito: lei una donna proveniente da qualche regione italiana più meridionale, lui uno dei tanti sloveni che vivono da sempre a Trieste, irriducibile comunista e nostalgico jugoslavo.

Il loro matrimonio si è arenato su una secca, e il dialogo di coppia è difficoltoso; non giova la morte di una delle due figlie, qualche anno prima, durante una sconsiderata gita in barca a vela, mentre si stava avvicinando un fortunale; è il “neverin” nominato dalla ragazza francese con uguale accento, che rende la parola quasi irriconoscibile. L'uomo è riuscito a voltare pagina, ma la donna no; il suo cuore ancora piange la perdita, e questo è un ulteriore motivo di contrasto tra i due.

Si tratta di un'opera dal ritmo lento, filmata da una macchina da presa poco mobile, che comunque si regge abbastanza bene e si segue con interesse. Le atmosfere trasudano malinconia e incomunicabilità, a momenti solitudine. La casa – pur una bellissima villetta con vista mare – risulta spoglia e alquanto inospitale, e poco le giova il panorama che si vede dalla finestra e dal giardino. È una casa, direi, figura dell'interiorità dei due personaggi.

Per il resto, il film è stato girato in una Trieste grigia di fine inverno, levigata, silenziosa, quasi astratta, poco vitale. Mancano del tutto scene cittadine, vocio e brulichio di persone, rumori. Si prediligono gli angoli più riposti, gli scorci meno frequentati, il Carso solitario, e soprattutto il mare con alcuni porticcioli.

Vorrei anche rilevare quelli che secondo me sono dei piccoli difetti, che tuttavia non compromettono il film. I dialoghi della brigata di donne nel retrobottega della parrucchiera sono collosi e oziosi; va bene che sono forse realistici, ma in quei momenti si ha la sensazione che l'opera zoppichi un po', e che scenda ad un registro inferiore. Poi, durante il viaggio in Slovenia, c'è un'ellissi un po' troppo sbrigativa, e ci si chiede cosa stia succedendo esattamente. Che genere di immobile sta comprando la protagonista? Una nuova abitazione? Un negozio? Una palestra? Perché s'infuria il marito? Pensa che lei lo abbia appena tradito? O è per un tradimento di molti anni prima, ai tempi del contrabbando? Secondo me, qui andava dato qualche accenno in più.

Precisato questo, è comunque un film dignitoso, originale, che prova a sezionare e setacciare sentimenti e rapporti umani, e in gran parte ci riesce. Sono pochi quelli che oggi solo provano a farlo.

 

 

 

 

 

 

 

 

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