Regia di George Tillman jr. vedi scheda film
All'età di sette anni, Starr - insieme ai suoi due fratelli - ha ricevuto dal padre Maverick un insegnamento che ha mandato a memoria: la polizia può fermarci in macchina in qualunque momento, anche se non abbiamo fatto niente; in quel caso mi vedrete mettere le mani bene aperte sul cruscotto, e voi dovrete sempre fare lo stesso. Maverick s'è fatto la galera ma adesso è pulito, e sa bene che, specie contro gli afroamericani, e specie in un ghetto come è quello di Garden Heights in cui vivono, la polizia può usare la violenza con qualsiasi pretesto, quindi è bene non dargliene. Nove anni dopo, Starr si trova a dover mettere in pratica quelle nozioni quando la macchina in cui viaggia con l'amico Kahlil viene fatta accostare per una freccia non inserita: peccato che Kahlil abbia un carattere poco accomodante e, ignorando i suoi consigli, anziché restar fermo e seguire gli ordini dell'agente, si muove e anche troppo; fino a quando, dopo aver preso in mano una spazzola, viene ucciso da quello con un colpo al cuore perché l'aveva scambiata per una pistola.
Diretto da George Tillman Jr. e sceneggiato da Audrey Wells partendo da un romanzo di Angie Thomas, The Hate U Give parla non solo del razzismo come malattia endemica e quasi inestirpabile della società, ma anche e soprattutto della necessità di essere sé stessi, di difendere la propria dignità e di superare la vergogna del sentirsi diversi. Mandata dai genitori a studiare in una rinomata scuola frequentata da bianchi per permetterle di avere maggiori opportunità, Starr si trova a muoversi a cavallo tra due diversi codici di comunicazione e di identità, perché quando va lì si trasforma per sentirsi accettata, recita una parte cercando di evitare di fare le cose che finirebbero per renderla assimilabile allo stereotipo.
L'assassinio del suo amico la pone dunque davanti ad un bivio nel momento in cui solamente un suo intervento, in quanto unica testimone, può far sì che ci sia qualche flebile speranza che l'agente omicida non la faccia franca. Attirarsi addosso la luce dei riflettori rischierebbe però da un lato di rovinare la sua reputazione tra i suoi nuovi amici bianchi (bianco è anche il fidanzato), e dall'altro di rendere pericolosa per sé e la sua famiglia la permanenza nel quartiere, dal momento che Kahlil spacciava per King, il boss della mala locale.
Il conflitto interiore che mina la protagonista è la spina dorsale di un film intenso ed emozionante che Tillman Jr. conduce con mano sicura, puntando le dita su un pregiudizio che è tanto radicato, strisciante ed elevato a sistema da contagiare non solo i bianchi "progressisti" che se ne sentono immuni, ma anche gli stessi neri passati dall'altra parte della barricata (è illuminante, a tal riguardo, il dialogo tra la protagonista e Carlos, l'afroamericano entrato in polizia).
Contrappunto coerente ad un film orgogliosamente afroamericano è la colonna sonora, prevalentemente (ma non solo) hip hop: non a caso, il titolo stesso del film nasce dall'espressione "THUG LIFE" del compianto Tupac, un acronimo che sta per "The Hate U Gave Lil' Infants Fuck Everybody", ovvero, "L'odio che insegnate ai bambini fotterà tutti": a ricordarci che è l'odio il carburante universale di ogni pregiudizio.
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