Regia di George Tillman jr. vedi scheda film
Festa del cinema di Roma – Selezione ufficiale.
L’odio non porta niente di buono e quando colpisce - direttamente o di rimbalzo - i più piccoli, getta le basi per moltiplicarsi sine die nel tempo. Un meccanismo dai crismi irreversibili, particolarmente accentuato nelle aree più difficili, dove a una festa tra amici una persona qualunque può impugnare una pistola per futili motivi e i poliziotti pattugliano le strade con i nervi a fior di pelle.
Una congiuntura che leva ogni forma di tranquillità, la base su cui prende corpo e fiato The hate U give, un dramma che non va per il sottile, sfruttando la sua foga per attecchire e far germogliare un florido campo di sensazioni.
Per sopravvivere nel quartiere di Garden Heights, bisogna avere ben chiare alcune regole fino da bambini. Così, Maverick (Russell Hornsby) e Lisa Carter (Regina Hall) hanno inquadrato i loro figli, per poi iscriverli in una scuola rinomata, con l’obiettivo di tenerli lontani dalle minacce più comuni. Un mondo completamente diverso, che obbliga la sedicenne Starr (Amandla Stenberg) ad avere due vite separate.
Un gracile equilibrio che viene spezzato quando la ragazza assiste all’omicidio del suo amico Khalil (Algee Smith), avvenuto per mano di un poliziotto, un evento drammatico che la mette nella scomoda posizione di dover testimoniare per (tentare di) avere giustizia.
Peccato che in questo caso metterebbe in pericolo tutta la sua famiglia, dato che Khalil spacciava droga per conto di King (Anthony Mackie), un boss che nel dubbio utilizza la violenza come arma di coercizione.
George Tillman jr. non è un regista dalla mano leggera, come dimostrano i tronfi Men of honor e La risposta è nelle stelle, ma quando il vento spira nella direzione giusta, sa come accompagnare la nave in porto (Notorious B.I.G.).
Con The hate U give, siamo in una via di mezzo. Il tema è attuale e condiviso, invero lo è da sempre, e le motivazioni abbondano, ma non risparmia nemmeno colpi bassi, peraltro assestati con stordente decisione.
Dunque, il film si addentra laddove è tutto tremendamente complicato, stabilendo un ponte con la società bene, e al 99% bianca, ha in un omicidio il casus belli scatenante di una serie di problematiche, che dispone come primum movens attraverso un taglio rudimentale.
Specificatamente, George Tillman jr. non ha il senso della misura, e probabilmente nemmeno gli interessa, abbonda per principio, anche negli eccessi di correttezza, per cui anche in mezzo al caos niente scollina da argini diffusamente sperimentati.
Ciò detto, è chiaramente orgoglioso di quanto diffonde e il frutto del suo lavoro padroneggia anche un’energia notevole, che si rispecchia in più personaggi, partendo da Starr, su cui Amandla Stenberg - una futuribile neodiva (Noi siamo tutto, Darkest minds) - compie un ottimo lavoro, per arrivare al granitico Russell Hornsby (Grimm, Barriere).
In fondo, è proprio nell’impeto che un film del genere rintraccia la sua terra promessa, consentendogli di ovviare a classificazioni binarie, con sviolinate avvicendate a sciabolate, sempre nel nome di una forma blanda che non richiede particolare rilievo alla grammatica, ammucchiando materiale che alla fine torna utile, almeno in buona parte.
Plateale, talvolta sprovveduto, sempre generoso.
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