Regia di Drew Goddard vedi scheda film
13° FESTA DEL CINEMA DI ROMA - SELEZIONE UFFICIALE
A fine anni '50, una serie di personaggi bizzarri, inquietanti, o semplicemente loschi, si ritrovano nell' immenso atrio kitch di un hotel-casa da gioco ora in disarmo, un tempo teatro accogliente per ospitare nomi illustri, posizionato proprio al confine tra California e Nevada, in una località pedemontana poco distante da Reno.
Li accoglie, dopo un imbarazzante ritardo, un giovane cameriere scombinato, insicuro ed impacciato (lo interpreta lo straordinario Lewis Pullman, figlio di Bill, qui il migliore di tutti).
Ognuno dei personaggi ha una oscura verità da celare, un segreto da preservare, una missione da compiere.
Un venditore di aspirapolveri che cela qualcosa di grosso, una corista nera dotata che aspira a crescere, una bella ragazza che trasporta un pacco importante, un guru affascinante in grado di creare dipendenza, e al centro, la figura più di spicco e nevralgica, chiave di tutta l'intricata e sin troppo ardita vicenda: un sedicente prete, accorso in quel luogo di perdizione per dare un senso e una fine ad una lunga e tortuosa vicenda con al centro un bottino trafugato, episodio che lo ha segnato pesantemente nell'ultimo decennio.
Oltre al già citato e strafatto ragazzo della hall, che pure lui nasconde segreti e misfatti assai redditizi in capo alla gestiine del singolare hotel.
Dopo il caos organizzato di un horror insolito, ma a mio avviso poco riuscito e troppo meccanico come "La casa nel bosco", torna in regia lo sceneggiatore Drew Goddard, portando sullo schermo una elaborata, scombiccherata vicenda corale ad incastro, tra thriller e voyeurismo, completamente e insistitamente inserita entro una ambientazione ostinatamente sopra le righe, regno di un kitch ostentato ad ogni singola inquadratura, trionfo del vintage e della celebrazione del tempo che fu.
La trama, nemmeno troppo velatamente episodica come nel miglior tarantino (qui però un pallido scimmiottamento del suo stile verboso e ferino) si sviluppa secondo svariati flashback esplicativi che inducono lo spettatore a comprendere e a completare i punti scientemente tenuti celati di un puzzle ardito e sin irritante, che alla fine sfianca, pur singolarmente ricco di ammiccamenti e stimoli organizzati per galvanizzare il pubblico. Che in genere abbocca alla tentazione, e in fondo gradisce.
Ma il film è un gran guazzabuglio, tutto contornato di marchingegni ed arredi vintage che si dividono il confine tra due stati, juke box pacchiani, e tutte le canzoni anni '50 più note (manca solo Only you.... o no?).
Alla fine inutile tentare di azzardare ipotesi, perche tutto ci viene spiegato anzitempo, per far scattare un meccanismo assurdo ma oliato che risulta tecnicamente ed astrattamente impeccabile, ma senza vero pathos.
Un giallo un po' thriller, un po' di sangue, un po' di mistery, per un frullato misto che stufa e irrita sin troppo presto.
Attori di classe e glamour, con Bridges bravo, nonostante lo strascico biascicante della mandibola senza controllo che ormai finisce per essere una costante del bravo attore, per il resto fisicamente in gran forma.
In un cameo a sorpresa, nella parte di uno scaltro produttore musicale, appare inoltre il più giovane e celebrato regista canadese degli ultimi anni, uno che ha bruciato le tappe, per così dire: certamente avrete capito di chi sto parlando.
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