Regia di Quentin Tarantino vedi scheda film
Io, i Tarantino, li vedo tutti, figuriamoci.. che poi, dopo The hatefull eight, sia come un po’ passare dal Warldorf Astoria di Dubai, a Villa Arzilla di Riccione, è per forza di cose questione di gusti personali, ma se ne può serenamente (s)parlare, almeno in questa sede.
Siamo nel 1969, vintage sfrenato, quasi maniacale - per i cultori odierni -, fumo di sigarette a gogo’ che sembra dover tracimare dallo schermo, telefilmini precursori delle “serie tv” che imperversano ora, drink infiniti, balletti twist e yeyé, eppoi i continui spostamenti in auto per Los Angeles: dalle ridenti colline di Hollywood con le ville - a dir poco - hollywoodiane, in giro per tutti i tracciati urbani, le circonvallazioni; e i raccordi, le curve, gli stop e i semafori…
tutto soffuso da una palpabile malinconia nella descrizione di un cinema d’epoca che tenta - riuscendoci - di cambiare pelle, a danno però di questo spleen casareccio interpretato da un Di Caprio stanco e smorfioseggiante che si imbarca in un personaggio tormentato, impreziosendosi di rado (ad esempio quando si imbestialisce con se stesso nel camper per aver pasticciato in scena).
E il Brad Pitt, che va sempre più redfordizzandosi, lo disegnano meglio, anche se a troppi/e è rimasto impresso giusto sul tetto in canottiera..
tra i due mi dicono esserci anche Margot Robbie, che dopo la spettacolare performance di Tonya, si prende cura dell’evanescente Sharon Stone riducendosi a macchietta e sorridendo qua e là… ma che fai? Je dici no a Tarantino?!?
Il film sarà pure un omaggio a certo cinema d’oro (anche italiano), un cinema facile che campava di cliché ma sfornando comunque buone cose - specie nel western, qui solo autocitato, - già perché C’era una volta… è un’autocitazione continua, pillole di tutti i precedenti 8 film del Maestro fanno capolino tessendo una tela fragilina che sfrutta solo marginalmente i marchi di fabbrica del cinema tarantiniano: l’esaltazione dei piani temporali, gli intrecci di trama, i dialoghi affabulatori.
Un film che sa dove andare a parare, e allora, Quentin, deve giusto riempire le due ore prima dell’epilogo a “surprise”, ma lo fa stancamente, senza nerbo, con giusto qualche felice parentesi (come quella con Brad al campo hippies, o mentre prepara la cena in camper per lui e per il cane) e una marea di scenette fastidiosamente superflue, come quella con Bruce Lee.
Pochi lampi, davvero radi, eppure tanti parlano di capolavoro, e non sarò certo io a contraddirli, mi tengo buono il Tarantino che amo (Pulp Fiction su tutti), sorrido e aspetto il prossimo..
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