Regia di Quentin Tarantino vedi scheda film
Un omaggio a un'epoca trascorsa e una riflessione sul potere salvifico della Settima Arte, ma soprattutto una favola malinconica, intima e contemplativa, un viaggio immersivo e totalizzante all'interno del mondo dove tutto è possibile: il Cinema. Voto 8,5
Dopo 4 anni di assenza dal grande schermo, Tarantino è finalmente tornato nella sua seconda casa, la sala cinematografica, e anche stavolta risulta al vertice dell’ispirazione. Infatti, la caratteristica più sorprendente di questo autore, che peraltro l’ha reso unico nel panorama cinematografico contemporaneo, è la sua straordinaria capacità di riproporre in contesti sempre diversi i suoi inconfondibili stilemi e di elevarli sempre di più film dopo film, a partire da Bastardi senza gloria, dando vita ad un percorso autoriale che sembra culminare proprio con C’era una volta a… Hollywood. Nonostante esso non sia il miglior lavoro tra gli ultimi diretti dal regista, è forse l’opera che meglio contiene in sé l’essenza della poetica tarantiniana, ovvero il potere del Cinema. Per cui, dopo aver fatto un falò di nazisti (Hitler compreso) nel film sopracitato, dopo aver trucidato tutti gli schiavisti bianchi del Sud America in Django Unchained e dopo aver fatto piazza pulita tra i reduci della Guerra di Secessione Americana in The Hateful Eight, il regista americano sconvolge per la quarta volta la Storia Ufficiale (in questo caso Charles Manson e l’omicidio di Sharon Tate) con lo scopo di intavolare una sentita riflessione sulla natura favolistica del Cinema (da qui il titolo C’era una volta…), inteso come una gigantesca macchina illusoria creatrice di racconti salvifici e ottimisti, estremamente lontana dalla dura realtà ma proprio per questo capace di travalicarla per far evadere gli spettatori dal mondo che li circonda. Solamente al cinema, dunque, vediamo i perdenti avere una speranza di prendersi la rivincita su un mondo spietato e feroce. Solamente al cinema vediamo i buoni trionfare e i cattivi subire la giusta punizione. Solamente al cinema le vittime hanno la possibilità di farsi giustizia e di regolare i conti con i propri carnefici. Perché, secondo Tarantino, il Cinema (ed è qui la genialità del film) è il luogo dove tutti i sogni possono essere esauditi. Senza soffermarmi troppo sulla componente tecnica e visiva (comunque strabiliante), mi limito a dire che la ricostruzione della Hollywood del 1969 è talmente fedele, meticolosa e di una precisione chirurgica sotto qualsiasi punto di vista (abbigliamento, musica, acconciature, locali pubblici, abitudini…) che si riesce a riesumare alla perfezione quel periodo di profondo cambiamento dell’industria cinematografica che Tarantino ricorda con profondo affetto e con sincero amore, quel cinema che ha adorato e che ha ispirato non solo lui, ma intere generazioni successive di cineasti. Non si contano, quindi, le splendide citazioni a Sergio Leone e Sergio Corbucci, alle serie televisive poliziesche, al cinema di Roman Polanski, a James Dean e persino a Brian De Palma, il cui rimando a Scarface con Al Pacino risulta il più divertito e divertente tra tutti (la sua stessa partecipazione al film potrebbe essere considerata come un tributo alla Nuova Hollywood). In un’epoca di grande rivoluzione, dunque, il regista ci presenta i due protagonisti della storia, un attore in declino e la sua controfigura (DiCaprio e Pitt magnifici), desiderosi di raggiungere il successo nell’industria di Hollywood ma impotenti di fronte a un establishment ostile e impietoso che scarica chiunque non risponda più alle esigenze del mercato. Ma ciò che rende il loro rapporto realmente simbiotico è l’incapacità, da parte di entrambi, di accettare un cambiamento. La ciliegina sulla torta è sicuramente l’interpretazione di Margot Robbie nel ruolo di Sharon Tate, stella luminosa di una bellezza abbagliante destinata tragicamente a spegnersi sotto i colpi di coltello della “Manson Family”. In definitiva, e con qualche prolissità perdonabile, C’era una volta a… Hollywood non è solo un omaggio a un’epoca trascorsa e parzialmente dimenticata, e non si limita neanche a riflettere sulla Settima Arte, ma piuttosto preferisce andare oltre e configurarsi come una favola malinconica, intima e contemplativa, un viaggio immersivo e totalizzante all’interno del mondo dove tutto è possibile: il Cinema.
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