Regia di Quentin Tarantino vedi scheda film
La favola della Hollywood gloriosa e maledetta del 1969 si suddivide essenzialmente in un estesissimo prologo ed in un esplosivo climax. La prima parte è uno smagliante ed imponente affresco della Hollywood di fine anni 60, strabordante della cinefilia del suo autore. L’esplosivo e spiazzante finale è purissimo estratto tarantiniano.
Al terzo tentativo, dopo le sale inaccessibili del Palais del Festival di Cannes a maggio e la delusione per i biglietti già esauriti della sera del 14 agosto, data di uscita francese, finalmente il caldo pomeriggio di Ferragosto, mentre la maggior parte della popolazione (anche cinefila) nizzarda sguazza tra le onde, è finalmente l'occasione buona per vedere la nona opera di Quentin Tarantino, uscita in Francia con oltre un mese di anticipo rispetto al nostro Paese.
Fin dalla prima scena il film ci presenta i suoiprotagonisti, l'attore di telefilm (preferibilmente western e polizieschi) Rick Dalton (Leonardo Di Caprio) noto al pubblico come protagonista della serie tv western Bounty Law ed il suo stuntman, autista e collaboratore tuttofare Cliff Booth (Brad Pitt). Le due megastar appaiono imbolsite, appannato il loro fascino stellare, nel ruolo di due uomini di cinema in crisi personale e professionale: il primo ormai convinto che non diventerà mai una star di prima grandezza, il secondo ormai accontentatosi di un destino di spalla e dipendente dell’amico. E purtuttavia tra i due si è consolidato un legame tenace, un’amicizia più forte degli alti e bassi della vita e della carriera, al punto che l’uno può dirsi “più di un fratello e meno di una moglie” per l’altro. Al duo maschile si affianca la terza protagonista, stavolta un personaggio realmente esistito, la bellissima e lanciatissima attrice Sharon Tate (Margot Robbie) moglie di Roman Polansky e, nella finzione, vicina di casa di Dalton nella esclusiva Cielo Drive.
Lunga (2h45) ma molto scorrevole, la pellicola si suddivide essenzialmente in un estesissimo prologo ed in un esplosivo climax. La prima parte, che impegna gran parte del minutaggio, è uno smagliante ed imponente affresco della Hollywood di fine anni 60. Tarantino celebra degnamente il mitico 1969 di Woodstock, dello sbarco sulla luna e degli efferati omicidi della Manson Famiy, con un omaggio accuratissimo nella ricostruzione e zeppo delle citazioni cinefile di cui va ghiotto. Quentin si diverte a giocare tra ricostruzione e originale, inserendo Di Caprio nelle scene di “La Grande Fuga” al posto di Steve McQueen perché Dalton “ha quasi avuto quel ruolo” e mostrandoci Margot Robbie intrufolarsi in una sala cinematografica per rimirare(-rsi) sul grande schermo la vera Sharon Tate in The Wrecking Crew. Ironizzando sul destino delle star americane in declino di finire a fare spaghetti western e B-movies in Italia con registi come il suo amato Sergio Corbucci (l'autore di Django che Tarantino omaggiò con la sua settima opera viene qui definito “il secondo più grande regista di spaghetti-western”), vediamo Dalton convinto da uno scaltro agente (Al Pacino in uno dei tanti camei di attori noti e feticci del regista) a tentare la trasferta italiana.
Tarantino si prende i suoi tempi, dilatando i suoi solitamente sincopati ritmi, per far scivolare le sue figurine attraverso oltre due ore di splendide inquadrature, con una marcata preferenza per le carrellate laterali a seguire il loro viaggiare tra neon scintillanti e saloon da set western, apparentemente (ma solo apparentemente) senza una direzione precisa. Rick in crisi umana e professionale per il timore di essere ormai un has-been trova ascolto e consigli in una baby attrice troppo matura per i suoi otto anni; Cliff che nel suo girovagare per le strade di Hollywood sull’auto del principale si imbatte nella ragazza hippie che lo conduce nel ranch della famigerata setta di Charles Manson; i tanti protagonisti dello star system (come un antipatico e sbruffone Bruce Lee) ed i figuranti del sottobosco hollywoodiano, con le loro piccole e grandi miserie; ed infine la sognante Sharon, che muovendosi eterea e luminosa tra un party in piscina ed una prima esclusiva rappresenta invece la speranza della bellezza, della giovinezza e di una promettente carriera che sta spiccando il volo, emanando serenità ed ingenua felicità, in stridente contrasto con il tragico destino che il pubblico ben conosce.
Tarantino meticolosamente (ri)costruisce questo universo perduto come preparazione ed anticipazione per il granguignolesco e deflagrante finale, in purissimo stile tarantiniano, di cui è fondamentale protagonista anche la pitbull di Cliff (meritatissima vincitrice della Palm Dog sulla Croisette), in cui spiazza lo spettatore sparigliando le carte della storia ed evitando scaltramente la strada attesa dal pubblico, che per quasi tre ore ha trepidato in anticipazione del famigerato massacro e solo al termine capisce che il titolo non è solo una citazione “leoniana”.
In un mondo del cinema ormai dominato dalla nostalgia, Tarantino sa lasciare anche questa volta la sua impronta, con autoironia (mettendo in bocca agli adepti della setta il piano di uccidere la gente del cinema che ha costruito la sua fortuna mettendo in scena omicidi), spiazzante originalità e maestria tecnica che conosce pochi rivali nel cinema contemporaneo.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta