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Be Natural: The Untold Story of Alice Guy-Blaché

Regia di Pamela B. Green vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Be Natural: The Untold Story of Alice Guy-Blaché

di yume
8 stelle

Tradita e dimenticata,la storia di Alce Guy, come diceva Montale, si prende le sue vendette: Alice Guy ora è fra noi, è suo merito se il cinema è anche “un paese per donne”.

 

locandina

Be Natural: The Untold Story of Alice Guy-Blaché (2018): locandina

Essere naturali” era la direttiva impartita da Alice Guy ai suoi attori.

A più di cinquanta anni dalla sua morte e quasi un secolo dopo il suo straordinario impegno di filmmaker-donna in tempi in cui la donna, se non era un oggetto di arredamento, era la badante a tempo pieno di marito e figli, Pamela B. Green, ha scoperto questo straordinario esemplare di genere femminile e ce ne ha parlato.

Contemporanea di Edison, dei Lumière e di Méliès, una donna che ha scritto, diretto o prodotto mille film, il primo “La fée aux choux“, 100 secondi di incredibile naturalezza mentre la fatina biancovestita e inghirlandata di fiori estrae da grandi cavoli dei paffuti neonati come tradizione vuole, ebbene, su questa donna si è abbattuta una damnatio memoriae peggiore di quella che colpiva i cattivi imperatori di Roma.

Cercare qualcuno dei suoi mille film è archeologia cinematografica, poco sopravvive a lei che, da viva, dovette arrangiarsi pubblicandoli senza la sua firma o con pseudonimi., come i racconti che inviava ai giornali. Commedie, western, drammi che trattano di abusi sui minori, immigrazione, genitorialità pianificata e donne emancipate, mondi di straordinaria attualità esplorati con piena padronanza di tecnica e mestiere furono il suo grande lascito ad una storia del Cinema da cui fu mal ripagata.

Era stata l’anima della Gaumont, segretaria del mitico Léon in America, dove si trasferì giovanissima, folgorata dall’invenzione dei Lumiére.

Naturalmente dissero che era l’amante di Gaumont, ma se anche fosse stato, e non fu, perché sottolinearlo? Difficile perdonarle di essere donna geniale e indipendente?

Ma partiamo dall’inizio.

Aveva 22 anni, tre giorni dopo il Natale del 1895, ed erano in pochi con lei a vedere L’arrivo alla stazione di Ciotat, la prima proiezione cinematografica della storia dei fratelli Lumière.

Tempo tre giorni e Alice creò il suo primo film, un minuto e mezzo, con una fata che estrae bambini da sotto un enorme cavolo: “La fée aux choux“ fu la prima narrazione cinematografica.

Per i Lumière il cinema era più che altro una curiosità scientifica, per il loro burbero padre, “un’invenzione senza futuro”.

Alice Guy inventò quello che il Cinema sarebbe diventato in seguito: uno strumento di storytelling, racconto per immagini in movimento, finzione o vita reale trasferite sullo schermo, fantasia che si concretizzava in suoni, figure, parole.

In definitiva Alice, in un minuto e mezzo, disse tutto quello che c’era da dire e dal bozzolo uscì negli anni successivi lo stormo di farfalle che oggi sciamano ovunque.

In Francia l’aspettava il futuro della donna medio borghese di buona famiglia: diventare dattilografa e stenografa.

E da segretaria cominciò nel Comptoir général de la photographie, una fabbrica di fotocamere e forniture fotografiche.

Nel 1885 Alice divenne segretaria nell’impresa di Léon Gaumont, uno dei pionieri dell’industria cinematografica ma che allora produceva solo strumenti fotografici. Quando nel marzo 1895i Lumière invitarono Gaumont ? e con lui Alice ? a una dimostrazione del cinematografo. Alice, che aveva già scritto alcune sceneggiature teatrali, capì qual era il suo futuro.

Nel ’96 si trasferì negli Stati Uniti, divenne l’anima della Gaumont, girò centinaia di film, tra cui più di cento sonorizzati per il Chronophone Gaumont, precorse il sonoro e il colore.

Il Cinema divenne con lei la settima arte.

Ma il tempo non era maturo per accogliere il suo genio.

E mentre grandi nomi mietevano successo e fama, la nostra Alice cadde vittima di un matrimonio infelice.

Tornata dopo dieci anni in Francia, un cineoperatore, Herbert Blanché, la sposò, sfruttò la sua genialità e la tradì con un’attrice. Lei continuò a scrivere favole e racconti di successo firmando con pseudonimi maschili, mentre gran parte dei suoi film divennero ben presto introvabili perché non firmati a suo nome ma a nome della compagnia distributrice.

La vita solitaria e incompresa di Alice finì nel 1968 da dove era iniziata tanti anni prima, in Francia.

Dal 2013 a Parigi hanno dato il suo nome ad una piazza del 14esimo Arrondissement, tra i registi che contano Scorsese ha un vero culto per lei, e nel 2018 il documentario Be Natural: The Untold Story of Alice Guy-Blaché”, narrato da Jodie Foster, ha fatto conoscere il suo nome e la sua vita straordinaria.

Alice Guy ha aperto una strada sulla quale tante sono state le donne come lei sconosciute e dimenticate.

Ma la storia, diceva Montale, si prende le sue vendette, Alice Guy ora è fra noi, è suo merito se il cinema è anche “un paese per donne”.

locandina

Be Natural: The Untold Story of Alice Guy-Blaché (2018): locandina

 

 

 

 www.paoladigiuseppe.it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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