Regia di Claudio Giovannesi vedi scheda film
La paranza dei bambini impigliati nelle reti della vita.
Ho appena appreso che nel gergo camorristico la "paranza" indica la batteria di fuoco di una banda. Da napoletano di periferia lo ignoravo. Quindi non è una metafora con echi sacrificali o forse sì; come il piatto preferito dai napoletani, una frittura composta da quei pesci di piccolo taglio che, in genere, si impigliano nelle reti dei pescatori, la rimanenza. Bello ma anche triste. Avrebbero potuto intitolarlo "La paranza degli scugnizzi" ammiccando un po' ad una figura del folklore partenopeo noto anche all'estero, ma, evidentemente l'intenzione originaria era proprio quella di prendere le distanze da un immaginario consolatorio. Scugnizzi restano: personaggi tragici di una cultura antica che rifiuta di adattarsi ai tempi. "Un paradiso abitato da diavoli": ha detto qualcuno. Fa rabbia. Io non mi diverto affatto a vedere com'è ridotta la bella Napoli dilaniata da bestie feroci. Qui non si tratta di episodi marginali che avvengono in zone limitrofe; tutto il centro urbano è coinvolto in queste rappresaglie, come se non stessimo in Italia. Quello di pagare il pizzo alla camorra è una consuetudine incivile, indegna di un paese europeo. Il film mi ha rammentato certe pellicole del sudamerica tipo La Virgen de los sicarios. E' quello il clima criminale descritto. Dalle critiche rivolte a Saviano mi aspettavo un racconto un po' sopra le righe, ruffiano, che sfrutta il potenziale spettacolare delle vite al limite, ma, ahimé, cosi non è. Giusto qualche nota romanzata come i fidanzatini che vanno a vedere l'opera al San Carlo, forse per emulare i grandi boss, magari quelli di un tempo. Per il resto è un film verista dal tono malinconico trattandosi di una storia di perdizione che riguarda degli adolescenti capitanati da Nicola, bello come un piccolo Alain Delon, con la stessa espressione fiera, disillusa e concentrata. Ricorda un po' anche il ragazzino di Goodfellas. Si tratta di ragazzi di vita che si preparano alla vita in società cercando il modo di procurarsi i ferri del mestiere; intendendo proprio "ferri", pistole e mitragliette, la paranza, per l'appunto; non avendo altre possibilità. Nicola sembra cercare riscatto e giustizia per sé e per il suo vicinato adottando il codice appreso in strada, non conoscendo alternative praticabili, dati gli scarsi mezzi materiali e culturali. Ad un certo punto, sembra prendere coscienza della irreversibilità della sua condizione reietta. Tuttavia, pur essendo verista, più che neorealista, pasoliniano, il film è concepito come un racconto morale, a giudicare dal finale. Non si può affatto dire che sia un film di scarso valore, anzi, ti resta dentro, solo che io trovo sia un difetto usare il cinema come surrogato della letteratura, o appiattirsi sulla bidimensionalità della sequenza dei fatti. I film italiani risentono di questo problema a causa di una cultura religiosa invasiva che taglia fuori ogni rapporto col trascendente, senza cui non saremmo uomini. Non dico che bisogna palesare il "trascendente" ma che occorre giocare col mezzo cercando una dimensione personale (spirituale) delle immagini poiché il cinema non può riprodurre la realtà in se per se, nè l'universalità dell'essere. E' sempre e solo la visione del mondo filtrata dalla sensibilità e dalla personalità dell'autore e quello che ci accomuna è lo spirito estatico, panico che la realtà (la mortalità) ci suscita.
Nota finale: lo scorso natale hanno rubato dalla Galleria Umberto, la stessa del film, un albero di Natale, in seguito, riposizionato. Ecco, non vorrei che fosse un lavoro di press agency... che ne fanno una più del diavolo.
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