Regia di Mark Young vedi scheda film
Il solito gruppo di teenagers, meno infantili del solito (sono infatti studenti di medicina) ma persi in un bosco, e sottoposti all'aggressione di infetti. Da cosa? Ma dal solito virus che trasforma in zombies!
Sei studenti di medicina, tra i quali una coppia lesbica, intraprendono una escursione lontano dalla civiltà, nella profondità di un dispersivo bosco. Alloggiano in tende separate quando, la prima notte, un ragazzo viene aggredito a morte e un'altra del gruppo ferita. Sembrerebbe ad opera di un animale selvaggio finché non incontrano Talbot (Lew Temple), un locale che si presta per fornire soccorso ospitando nella sua baita. Mentre il tempo passa, Talbot spiega loro che un virus -trasmissibile con il sangue- dalle conseguenze mortali ha colpito suo figlio. I contagiati si trasformano in zombies (o "Feral" in questa versione) ed aggrediscono i vivi per nutrirsi della carne umana. Alice (Scout Taylor-Compton) si dimostra la più determinata a sopravvivere e quando la situazione precipita si pone in difesa dell'amante Jules (Olivia Luccardi).
Mark Young scrive e dirige un film che non presenta nessuno spunto di interesse. In pratica è il solito canovaccio del virus sconosciuto, già sfruttato sino alla nausea già ai tempi di Cabin fever (2002). Con contagiati proposti nell'immancabile look da zombies agili e scattanti in stile 28 giorni dopo (ma il primo è stato Umberto Lenzi a mettere in scena "infetti" velocissimi, nel suo Incubo sulla città contaminata). Una trama semplice, che più semplice non si può -con un vago cenno di apertura verso tematiche LGBT- scritta in fretta e furia per dare il via alle riprese. E da questo punto di vista, ossia tecnicamente, Feral acquista qualche punto, sia per la suggestiva location naturale, sia per la capacità dimostrata dalle maestranze operative di sapere confezionare ottime riprese. Certo Talbot, il tipo che vive nella baita, persegue motivazioni non sostenibili e la protagonista Alice, interpretata dalla (qui) mascolina Scout Taylor-Compton contribuisce -a causa di uno script ben poco originale- a rendere del tutto assurdo il suo personaggio. Solo in un film americano infatti è possibile vedere un'adolescente maneggiare le armi meglio di una testa di cuoio. Ma come si fa nel 2018 a proporre ancora uno stereotipo così inverosimile e obsoleto? Un film davvero fotocopia, da inserire nel prolifico e ripetitivo -spesso noioso- sottogenere a base di "virus, contagio ed epidemia".
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