Regia di Anna Boden, Ryan Fleck vedi scheda film
Non è soltanto l’introduzione della prima supereroina protagonista nell’universo cinematografico Marvel a caratterizzare la singolarità del film della coppia di registi indipendenti Boden e Fleck perché Captain Marvel è, anche, a tutti gli effetti, un elemento cardine dell’intero MCU, rivisitandone il passato e preannunciandone il futuro per tramite di un personaggio che diviene, così, indispensabile allo sviluppo narrativo cinematografico dei fumetti della Casa delle Idee.
Come già Ragnarock (che riuniva la fine di Asgard e gli albi di Planet Hulk), il film si propone come una sintesi di alcune saghe preesistenti, dalla Guerra Kree-Skrull alla storia di Mar-Vell, pur con notevoli varianti e innovazioni; su questa base portante, il film propone riferimenti diretti al tie-in televisivo di Agents of Shield, la cui più recente stagione si svolge in un futuro alternativo dominato dai Kree blu e vede la dipartita dell’iconico Agente Coulson, presente nel film come omaggio al personaggio, e si inserisce adeguatamente nella continuity dei film Marvel prima dei Guardiani della Galassia, che già presentava Ronan l’Accusatore, per poi riallacciarsi agli eventi di Infinity War con l’armageddon dei supereroi che troverà la sua conclusione nell’imminente Endgame.
Carol Denvers riunisce quindi il filone della space opera, con razze e pianeti alieni, per congiungersi alle vicende degli Avengers e, parafrasando il sottotitolo del primo film su Capitan America, diventa effettivamente il primo vendicatore moderno, dopo Steve Rogers e le sua avventure durante le Seconda guerra mondiale. Anzi, è probabile che il personaggio, ribattezzato ancora “Captain”, assumerà il comando o il ruolo emblematico di Captain America all’interno del super-gruppo con l’uscita di Chris Eans dal ruolo e, probabilmemte, del personaggio dalla serie cinematografica. L’azione e le abilità di Danvers, infatti, eroe non cercato ma trovato da Fury, portano il futuro direttore dello Shield a ipotizzaree un gruppo di uomini potenziati, come effettivamente farà nel sottofinale del primo Iron Man, presentandosi a Tony Stark con in mente quella stessa idea.
Come per Sentry nei fumetti, il film opta per una retcon del narrato conosciuto e un diverso punto di vista, non divergente se non nei confronti degli albi e della loro continuità (la natura degli Skrull, il sesso di Mar-Vell), introducendo un personaggio da tempo noto Fury per esperienza e per contatto diretti ma mai richiamato sulla Terra sino al sottofinale drammatico di Infinity War e arrivato dopo i titoli di coda de film eponimo. Marvel, convocata per disperazione per porre termine ad una situazione insostenibile per la scomparsa di gran parte dei supereroi (e degli abitanti dell’universo), sarebbe infatti stata decisiva per i propri poteri in numerose occasioni degli altri momenti di crisi dei Vendicatori e diventerà membro attivo degli Avengers o li soppianterà.
Captain Marvel offre, finalmente, anche uno sguardo al passato di Fury, cancellandone, rispetto alla versione cartacea, l’elemento del potenziamento che gli permette di combattere e sopravvivere a lungo (è coetaneo di Steve Rogers), ma ne illumina una solarità caratteriale che l’ombroso Fury dello schermo non aveva mai manifestato, raccontandoci anche la “storia dell’occhio” perso e, tra le righe, l’evoluzione dello Shield da agenzia di controspionaggio dedicata a temi alla X-Files (come in Agent Carter) verso l’amministrazione di superessseri.
Al di là dell’abilità di costruzione della sceneggiatura, con la sintesi e il rilancio dell’intero panorama cinematografico dei Marvel Studios, Captain Marvel impone una diffusa ironia (che era diventata inutile farsa in Ragnarok o stasi ripetitiva nel secondo Guardiani della Galassia) plasmata sul mezzo sorriso di Brie Larson, sulla caratterizzazione delle situazioni che, con ulteriore citazionismo, rimandano a James Cameron, da Terminator 2 (inseguimenti e distruzione a Los Angeles con mutaforma) a True Lies per la commedia d’azione, ma anche alla comicità buffonesca di Men in Black coi suoi alieni strambi (di apparenza canina o felina). Ed è permeato di ironia l’intero film, non solo nel gioco delle citazioni incrociate e dei riferimenti intersecati, ma anche nell’utilizzo di rimandi culturali datati e precisi (la Vhs di Uomini veri/The right stuff da Blockbuster, ad esempio) e nel tono da Top Gun al femminile che attualizza il genere (prima dell’arrivo del sequel con Cruise). E anche la regia sembra optare per punti di vista anomali, assi di visione cangianti, ambientazioni polverose, prevalenza di primi piani e una costruzione tutta interiore, nella mente turbata di Vers/Danvers, terrestre senza futuro e Kree senza passato, supereroina e cecchino d’assalto. Proseguendo l’attenzione all’intimità e all’interiorità dei personaggi, il duo di registi si mostra capace di modellare a immagine di Carol Denvers un film su una narrazione intermittente e quasi totalmente mnemonica, fatta di assemblaggi di storie passate e di storia recente, di film e telefilm visti, di canzoni sentite e di fumetti letti, integrati in un immaginario personale e collettivo che diventa collettore di spunti e di umorismo, post-moderno e originale insieme, tanto per la protagonista quanto per lo spettatore.
Se Captain Marvel è il “last Avenger”, come Captain America era il primo, il futuro si prospetta comunque cinematograficamente roseo per il MCU, anche se dovrà fare a meno di alcuni eroi e abbandonare altri filoni.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta