Regia di Anna Boden, Ryan Fleck vedi scheda film
"Mamma non andare! A chi importa se il mondo è in pericolo. Resta con me, ti prego!" Una bambina avveduta, con un pizzico di sale nella zucca si sarebbe rivolta così a sua madre mentre veniva lusingata dall'amica dotata di superpoteri a fare la sua parte per "salvare il pianeta" aka "proteggere l'America" perché di solito gli alieni ce l'hanno sempre con loro come fossero dotati di una sorta di bussola il cui ago punta sempre in direzione Washington riconoscendo nella capitale il centro del potere o del malaffare terrestre.
Carol Susan Jane Danvers aveva poco da rischiare, dotata com'era di poteri che la mettevano al riparo dai pericoli peggiori. Chiedere alla vecchia amica di pilotare un aereo scassato contro una terribile razza aliena non le avrebbe costato quel gran sacrificio ed una bambina intelligente avrebbe capito che il rischio maggiore l'avrebbe corso la madre. Ma siamo in America e per l'appunto gli alieni ce l'hanno sempre con loro. I bambini crescono imparando che dall'esterno, e solo da lì, arrivano le minacce alla loro incolumità e perciò è imperativo fermarle pena la distruzione della loro società. Pearl Harbor docet. E allora vai mamma volante, prendi in mano l'aereo e sorvola le nuvole verso la libertà con la benedizione di un casco di riccioli corvini che ti dice supplichevole: "Non preoccuparti di me. Me la caverò. Solo tu puoi salvare il pianeta. Il genere umano ha bisogno di te." Che devozione per l'America, nazione di eroi pronta ad immolarsi per il bene dell'umanità intera salvo poi metterla a ferro e fuoco all'occorrenza.
La lezioncina di eroismo Stars and Stripes viene impartita, puntuale puntuale, intorno a metà del film. Come in una gita in corriera durante la quale ci sarà la dimostrazione delle pentole e non puoi fare a meno di scansarla perché fa parte del pacchetto. Del resto in un film di super eroi non poteva mancare il discorso sopra i massimi sistemi americani. Su ciò ero rassegnato ancor prima di sedermi sul divano con mio figlio che a contrario di me puntava in avanti i pugni volando come Captain Marvel da un angolo all'altro del salotto una volta digerita la parte "Terminator" di inizio film, guarda caso la più interessante e avventurosa.
Il film diretto da Anna Boden e Ryan Fleck è tutto qui: una corsa a distruggere alieni mutaforma fino al ribaltamento del punto di vista. Ci si mantiene sulla sufficienza senza brillare. Brie Larson è bella e probabilmente non sarei io il primo a dirle di no ma il suo personaggio è monocorde, yenkee fino al midollo e privo di una qualsiasi complessità psicologia. Gli effetti speciali sono spettacolari ma ridondanti e servono a distrarre lo sguardo dai difetti di sceneggiatura e dalle omissioni inevitabili sul mondo Marvel. Alla fine ciò che suscita davvero il mio interesse sono gli occhi di Samuel L. Jackson/Nick Fury. Per una volta due. L'origine della benda è spiegata ed è divertente come Goose il flerken di colore rosso che gli fa le fusa. A fine proiezione guardo la nostra gatta. Mi restituisce uno sguardo intenso. Occhi allungati e palpebre semichiuse. Non andiamo molto d'accordo e sembra suggerirmi che farò la fine di Fury. Deglutisco e spero di non vederla vomitare un cubo di pelo. Miao.
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