Regia di Jean-Bernard Marlin vedi scheda film
Opera prima del regista marsigliese Jean-Bernard Marlin, premiata ai "César" 2019. Violento, romantico e documentaristico. Da non perdere.
Non ne avevo sentito parlare e devo ammettere di essermici accostato con un certo scetticismo, benché me lo avesse consigliato mia figlia, di cui condivido spesso le scelte cinematografiche. Lo aveva visto su Netflix, piattaforma che, fino ad oggi, non mi ha certo entusiasmato, fatte salve alcune eccezioni, come “Roma” di Alfonso Cuaròn o “The Irishman” di Martin Scorsese. Sarà – mi dicevo - l’ennesimo film sul disagio adolescenziale e le bravate delinquenziali ambientate in quartieri periferici di grandi città europee o americane. In effetti, il contesto è più o meno quello, ma il regista Jean-Bernard Marlin con questo suo primo lungometraggio riesce nell’impresa di far coesistere violenza e romanticismo, finzione e documentario, osservazione pessimistica della realtà e testarda speranza che una scintilla di umanità possa portare ad un faticoso riscatto.
La vicenda narrata si ispira ad un fatto di cronaca avvenuto nel 2013 a Marsiglia, quando un ragazzo di 16 anni venne arrestato per prossenetismo in un albergo a ore del centro, dove alloggiava con due prostitute sue coetanee. Per scrivere la sua sceneggiatura, Jean-Bernard Marlin è tornato a Marsiglia, città dove è nato e cresciuto, frequentando per svariati mesi ragazze che si prostituiscono nel quartiere della Rotonde, luogo in cui si svolse la vicenda di cui sopra. “Hanno tra 16 e 24 anni”, racconta il regista intervistato da Allociné.com, “bazzicano per il quartiere in gruppo. Alloggiano in piccoli alberghi del quartiere. Ho osservato la loro vita per strada e chiesto loro di parlare della loro vita sentimentale (…)”. Coerentemente, vengono scelti attori non professionisti, sia per i ruoli dei giovani emarginati che per quelli di assistenti sociali, guardie del carcere minorile e avvocati coinvolti. Alcuni personaggi sono ragazzi appena scarcerati con processi ancora in corso all’epoca delle riprese. In particolare, “Dylan Robert, il protagonista maschile – prosegue Jean-Bernard Marlin – era stato da poco rilasciato dall’Istituto penitenziario per minorenni di Marsiglia, lo stesso che si vede nel film. Quando esce dal carcere nella scena iniziale, reinterpreta ciò che ha realmente vissuto tre mesi prima, con gli stessi sorveglianti dell’amministrazione penitenziaria”. Al suo fianco recita, nel ruolo di Shéhérazade, l’altrettanto giovanissima Kenza Fortas, cresciuta in uno dei quartieri più marginali di Marsiglia, amica di Dylan Robert dall’età di 10 anni e a sua volta ospitata in un istituto di rieducazione. Anche se completamente incoscienti, irresponsabili e, per dirla tutta, non molto scaltri, i due personaggi non possono suscitare altro che tenerezza e commozione, non fosse che per l’inconsapevole autenticità primaria dell’affetto che li lega. Entrambi convinti che la prostituzione sia un gioco semplice che assicura facili guadagni, non si rendono conto dell’efferatezza e tanto meno delle dimensioni di un ambiente che, lungi dal farsi sfruttare, finirà per stritolarli. Ci si aspetterebbe un finale tragico, ma ad emergere quando tutto sembra perduto sarà proprio l’autenticità del rapporto affettivo a dare la spinta estrema e decisiva per salvare due esistenze votate al fallimento. Eviterò di raccontare l’epilogo del film, segnalando tuttavia che l’udienza per stupro davanti al magistrato, trasformatasi in accusa di prossenetismo, è uno dei momenti più alti e più coinvolgenti di un film che racconta ma non giudica, che processa una cruda realtà ma non emette alcuna sentenza, lasciando nei suoi protagonisti e nello spettatore un filo di ultima speranza dura a morire, come sembrano sottolineare le note dell’”Estate” dalle Quattro Stagioni di Antonio Vivaldi.
Tre “César” nel 2019: miglior interpretazione femminile, miglior interpretazione maschile, migliore opera prima. Tutte ampiamente meritate.
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