Regia di Zsófia Szilágyi vedi scheda film
CANNES FESTIVAL 2018 - SEMAINE DE LA CRITIQUE
La vita che scorre, l'ordinarieta' che uccide ogni sentimento, ogni atteggiamento opportuno e forse sufficiente a rendere armonioso ciò che invece è solo automatico, meccanico, e contribuisce a rendere la quotidianità un percorso statico che funziona solo se lo si manda avanti senza pensare, come un congegno meccanico a ricarica temporanea.
Anna è una bella donna, ha quarant'anni, insegna italiano in una scuola privata di una città ungherese; ha tre figli ancora bambini vivacissimi, di età differenti, iperattivi e bisognosi di costanti attenzioni; poi mille impegni e mansioni a cui dover far fronte, ed un marito che finisce per intravedere sbrigativamente la sera, durante i pasti che sono la sola effimera occasione per riunire il nucleo familiare.
Ma tra marito e moglie sono quasi due estranei: non si toccano, nemmeno sfiorano più, senza nemmeno la lucidità di potersi soffermare - lei - sul fatto che lui ormai vive di storie clandestine persino con le migliori amiche della stressata ed oberata consorte.
Sarà questo frenetico ritmo ordinario a distruggere e minare le basi di un nucleo familiare che il ritmo della vita moderna distrugge e sgretola senza nemmeno permettere alle due colonne portanti di dedicare un po' di tempo a rinsaldare le fondamenta ormai seriamente compromesse.
Punta sulla esasperazione la giovane regista ungherese Zsofia Szilagyi, e il sentimento spiacevole e snervante dilaga, anche in sala, in modo dirompente.
Da questo punto di vista il film, ostico e poco attraente, che gioca con lo stress e l'annientamento da quotidianità, appare riuscito, e il finale che gioca a "nascondino" è la più corretta e se vogliamo geniale soluzione per chiudere adeguatamente una storia di vita in cui non parrebbe difficile, per molti immagino, identificarsi almeno in parte.
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