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L'angelo del crimine

Regia di Luis Ortega vedi scheda film

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La recensione su L'angelo del crimine

di scapigliato
9 stelle

Per stessa ammissione del regista Luis Ortega, El Ángel è un film molto genetiano in cui si riflette in ogni inquadratura quella religiosità della trasgressione e quella poesia del crimine che Jean Genette teorizzava e iconicizzava con le sue opere. L’aura angelica che avvolge il giovane delinquente protagonista, ammanta l’intero film di erotismo. Un erotismo sì sessuale e soprattutto omoerotico, ma in particolar modo un erotismo sociale, dove l’attrazione, sia essa ossessiva, compulsiva o anche solo libidica, ha il suo punto di focalizzazione nelle pratiche antisociali, nelle dinamiche relazionali, nei rapporti di forza impostati sull’alternanza di ruoli – padrone/servo, attivo/passivo, dominante/succube e viceversa.

Il patto erotico criminale tra l’angelico Carlitos e il macho Ramón gode di un’impostazione dualistica, tra attrazione e repulsione, che ne determina la tensione diabolica. Non solo Carlitos è attratto da Ramón, ma fa di tutto per attrarre a sé Ramón stesso. Inoltre, in questo velenoso piccolo gioco erotico al massacro, l’efebico Carlitos rivendica per sé il ruolo passivo del servo tanto quello attivo del dominatore, fino alle più estreme conseguenze. Dai delitti gratuiti o incidentali, che erotizzano ancor di più la messa in scena notturna e umbratile tra Eros e Thanatos, fino al sacrificio d’amore, però di segno invertito.

Se questa vera storia di cronaca dell’Argentina dei primi anni settanta non godesse dello stato di grazia estetica della regia di Ortega, sicuramente godrebbe dell’interpretazione di Lorenzo Ferro e Chino Darín, coppia diabolica dalle coordinate antitetiche al modello classico, e della maiuscola prova emotiva di Cecilia Roth. Inoltre, il giovane protagonista, al suo debutto cinematografico, non solo è azzeccato, ma anche sorprendentemente ispirato. È un corpo erotico per natura, ulteriormente erotizzato dal personaggio e dalla messa in scena. Di fatti, lo sguardo di Ortega, che poteva adottare un linguaggio iconografico ancora più audace e più esplicito, è comunque perfetto nel creare la tensione visiva perfetta per impastare l’immagine di quell’erotismo sociale, o antisociale, di cui prima. Ugualmente Chino Darín, nel ruolo del galán di turno, fascino latino e machista, ha le sue crepe e le sue infiltrazioni (auto)distruttive che lo rendono più fragile dell’immagine che vuole dare di sé. Dal duro bullo del liceo all’amante idilliaco e castrato. Una delle sue performance migliori.

Molte sono le scene e le immagini iconiche che fanno di El Ángel un gioiello di estetica e narrazione. Dall’incipit all’explicit in cui Carlitos balla da solo in salotti di case altrui, passando per la sequenza del furto in casa del vecchio che colpito a morte non muore e la successiva notte in albergo dove il corpo nudo di Darín viene censurato da una montagna di gioielli, oppure dai dettagli che erotizzano il corpo di Ferro – il suo sguardo liquido ed eccitato alla vista dei testicoli del vecchio padre di Ramón o le labbra che la madre di Ramón gli sfiora con il pollice – per non parlare, infine, di una colonna sonora da urlo che conferisce a El Ángel l’immediato status di culto.

Se siamo obbligati a trovare anche un messaggio sociale o politico, o per lo meno un sottotesto implicito che elevi la pellicola anche da un punto di vista del contenuto, possiamo citare innanzitutto il classico fascino per il crimine e il criminale, doppi binari sui cui corre da sempre la maggior attrazione adolescenziale, e in secondo luogo il rischio sociale di tale fascinazione. Il regista insiste infatti, senza essere didascalico ed esemplare nella parabola delinquenziale di Carlitos, nel sottolineare come sia normale, e io aggiungerei fisiologico visto il tema erotico di fondo, concedersi al lato oscuro di noi stessi in un’età di dubbi e sperimentazioni come l’adolescenza e commettere azioni compromettenti e insensate per il solo gusto di farlo, di sentire il cuore che esplode nel petto, che sale in gola spinto da un’adrenalina che sa di orgasmo. Ma l’altra faccia della medaglia è il superamento del punto di non ritorno, la deflorazione dell’anima vergine attraverso il peggiore dei crimini, il delitto. Chi va oltre è condannato a fuggire sulle orme di Caino – e il parallelo tra i due amici amanti il cui rapporto si sviluppa anche lungo i binari della fratellanza putativa, non è casuale.

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