Regia di Lukas Dhont vedi scheda film
Lara è una donna spezzata. Non sembra tanto una donna nel corpo di un uomo; sembra piuttosto un volto di donna con busto maschile e organi genitali maschili, ed è molto diverso. E' questione di pezzi di corpo, di elementi che cozzano se messi accanto. Inevitabilmente, ne deriva l'assunto più astratto: donna dentro, uomo fuori. Ma non è questo il punto. In Girl non seguiamo il momento in cui Victor capisce di essere Lara, ma seguiamo il momento in cui Lara deve capire di essere Lara. Un periodo di autoaccettazione che sembra sempre più distruttivo e alienante, che la porta a non poter distogliere l'attenzione dal suo corpo, dal petto piatto, dal pene rigorosamente nascosto sotto nastri adesivi. Le abitudini routinarie di Lara, costretta a modificare il suo corpo giorno dopo giorno perché incapace di attendere i due anni necessari per l'operazione, sono loop anche scenici, filmici, in cui non possiamo non ritrovarci intrappolati. La libertà di Lara passa attraverso la prigionia che è lei a imporre a se stessa, e non il mondo che la circonda, un mondo per lo più benevolo e accondiscendente. D'altronde, la camera a mano di Lukas Dhont non fa altro che stare vicina al volto di Lara, un volto così femmineo che si fa fatica a credere a quelle spalle, a quelle braccia.
Con la danza, Lara sembra cercare un'armonia (fra dentro e fuori) da cui il mondo quotidiano la preserva. I riflessi, le parti del suo corpo e i momenti di autoriflessione sono sempre in primo piano, vicini ai nostri occhi, non possiamo dimenticarcene. Quando danza con tutti gli altri compagni, non siamo in grado di vedere la coreografia, perché siamo bloccati sul suo volto concentrato e sofferente, che allunga il collo per cercare - pare - di staccare il capo dal busto virile. Quando danza, sono momenti inevitabilmente sgraziati e sgradevoli, perché non possiamo vederla senza che il nostro sguardo sia appesantito, imbruttito e sfiancato dall'ossessione di Lara. Come lei lo spettatore perde percezione di ciò che lo/la circonda, se non quando negli altri lei (noi) non vede il riflesso di se stessa.
Girl racconta dell'incapacità adolescenziale di riuscire a pensare ad altro da sé. Non è un film edificante, è un processo di maturazione sensoriale. La musica non riesce quasi mai a passare dal registro diegetico al registro extra-diegetico, così come lei non riesce a vivere dentro quel corpo, dentro quel mondo. Però alla fine, mentre lei cammina nella metro, si sente la musica, si scopre che ha una sorgente prima fuoricampo e poi out of focus in un gruppo di musicisti di strada, e la musica inonda tutto, il suo volto, lo spazio e l'inquadratura. Non si sentono più i suoi passi. E' a quel punto (con un taglio netto!) che il film può finire.
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