Trama
Beshay, un copto oramai guarito dalla lebbra, decide di abbandonare per la prima volta i confini del lebbrosario nel deserto egiziano in cui vive sin dall'infanzia. Dopo la scomparsa della moglie, vorrebbe riscoprire le sue radici e ciò che resta della sua famiglia. Raccogliendo le sue poche cose, viene presto raggiunto da un piccolo orfano nubiano e insieme intraprendono un viaggio attraverso l'Egitto.
Approfondimento
YOMEDDINE: RITORNO ALLA VITA
Diretto e sceneggiato da A.B. Shawky, Yomeddine racconta la storia di Beshay, un uomo che, sebbene sia guarito dalla lebbra, non ha mai lasciato la colonia di lebbrosi nel deserto egiziano in cui vive sin dall'infanzia. A seguito della morte della moglie, Beshay decide finalmente di partire alla ricerca delle proprie radici. Con le sue poche cose ammassate su un carro trainato da un asino, Beshay inizia il suo viaggio e viene presto raggiunto da Obama, il piccolo nubiano orfano preso sotto la sua ala protettiva. Insieme, i due attraverseranno l'Egitto e si confronteranno con il mondo e con i suoi dolori, disagi e momenti di grazia, andando alla ricerca di una famiglia, di un posto di cui sentirsi parte integrante e di un po' di umanità.
Con la direzione della fotografia di Federico Cesca, le scenografie di Laura Moss e le musiche di Omar Fadel, Yomeddine viene così raccontato dal regista in occasione della partecipazione del film in concorso al Festival di Cannes 2018: "Attraverso Yomeddine, volevo raccontare la storia di un perdente, di un outsider, che etichettato come "nessuno" cresce capendo come funziona quel mondo che rifiuta di accettarlo. L'idea di Yomeddine mi è venuta in mente mentre stavo girando un breve documentario (The Colony) sulle storie dei residenti della colonia per lebbrosi di Abu Zaabal, a nord del Cairo. Mi sono reso conto che la lebbra è più un problema sociale che medico e che la deturpazione che causa ha spinto gli abitanti della colonia a vivere isolati dal resto dell'umanità. Abu Zaabal conta su circa 1500 abitanti: sono stati tutti curati e con la loro morte la malattia sarà del tutto estinta. Chi vi vive è consapevole di ciò. La comunità inoltre rappresenta una sorta di microcosmo e restituisce un'immagine lontana da quella turistica delle piramidi, del Nilo o del Cairo.
La scelta di far interpretare Beshay da un lebbroso non attore è nata dal desiderio di dare sia al personaggio sia a chi lo porta in scena la possibilità di trovare un nuovo io non definito dalla malattia ma dalla sua umanità. L'idea di fondo del resto era quella di non distogliere lo sguardo dai reietti che si incontrano nel film ma era semmai quella di andare oltre le apparenze e di concentrarsi sulle loro personalità. Nonostante il tema trattato sembri pesante, Yomeddine ha toni spensierati che evidenziano con quale spirito Bershay affronta la miseria".
Il cast
A dirigere Yomeddine è A.B. Shawky, regista di origine austro-egiziana. Nato al Cairo nel 1985, Shawky ha all'attivo tre differenti cortometraggi (uno di finzione e due documentari) che sono stati mostrati in vari festival in giro per il mondo. Ha studiato Scienze politiche e Regia al Cairo e si è laureato alla NYU… Vedi tutto
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Commenti (1) vedi tutti
Un lebbroso, considerato paria e mostro, attraversa l'Egitto accompagnato da un orfano per ritrovare le sue origini. Un film che piacerà al pubblico per il suo sguardo partecipato, sentimentalista ma positivo, che sottolinea la forza d'animo del suo umanissimo protagonista nell'affrontare le discriminazioni piuttosto che la caduta nel vittimismo.
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