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Cafarnao - Caos e miracoli

Regia di Nadine Labaki vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Cafarnao - Caos e miracoli

di obyone
7 stelle

Zain Al Rafeea

Cafarnao - Caos e miracoli (2018): Zain Al Rafeea

 

Cafarnao, ovvero caos e miracoli. Di caos a Beirut ce n’è in abbondanza. Di miracoli credo un po’ meno. Forse il vero miracolo di questo film è stato quello di strappare un paio di ragazzini dall’incommensurabile caos della capitale, ovvero dalla miseria che stritola quartieri aggrovigliati di cavi posticci, sommersi di rifiuti e ribollenti di bambini chiassosi. Cafarnao ha salvato le vite del giovane Zain e della piccola Boluwatife Treasure. Il film li ha aiutati ad elevarsi da una condizione di povertà che la regista libanese ha voluto raccontare per far conoscere al mondo intero ciò che è già palese ai più informati. Il Libano è un calderone di profughi: gli ormai storici “ospiti” palestinesi ereditati dalle guerre arabo-israeliane e quelli ben più freschi ed affamati, ma destinati allo stesso destino, sopraggiunti dalle ceneri della Syria. Poveri che si sono sommati ad altri poveri causando non pochi problemi sociali in uno stato tra i più moderni del Medio Oriente, se vogliamo, ma con i propri  grattacapi da gestire, senza bisogno di averne ulteriori. Labaki, dunque, ha raccontato la realtà scomoda del Libano lasciando poco spazio all’immaginazione, partendo, piuttosto, da una sceneggiatura solida e lasciandosi andare all’improvvisazione.

 

Siamo partiti da una sceneggiatura struttura, conseguenza di tre anni di ricerche scaturite dalla necessità di scrivere una storia che non fosse frutto della mia immaginazione o di mie idee su privazioni che a me non erano toccate… Siamo andati nei centri di detenzione e nelle prigioni, abbiamo parlato con tantissimi bambini… Ci siamo affidati a quello che loro potevano darci. Nonostante la sceneggiatura fosse ben tratteggiata c’è stata molta immaginazione, nel senso che ci sono state cose impreviste e questo ha fatto si che, seguendole, il girato sia aumentato a dismisura" (Nadine Labaki, Taxidrivers)

 

Non c’è da stupirsi, perciò, se le figlie vengono vendute, bambine, per non avere altre bocche da sfamare, i figli rimangono fantasmi dediti al furto, e le clandestine africane finiscono in carcere per mancanza di documenti. Non è immaginazione. La madre della piccola Boluwatife è finita in carcere lasciando la figlia per alcuni giorni con il personale di produzione durante le riprese, prima di ritornare in libertà.
Labaki è stata molto brava ad assecondare il piccolo Zain e l’ancor più piccola protagonista seguendo le loro movenze, le loro esigenze e mantenendo la mdp in posizione di rincalzo pur di catturare la spontaneità dei giovani attori. Di fronte ad una regia elastica che ha concesso spazi importanti all’improvvisazione infantile Labaki si è mantenuta nei binari della rappresentazione della povertà della capitale.
Il film ha fatto discutere parecchio circa il presunto sfruttamento delle condizioni sociali dei bambini libanesi per creare facili consensi intorno all’operazione. Non la metterei su questo piano altrimenti dovremmo citare in giudizio molti altri film che si sono occupati di fanciullezza e indigenza, penso ad esempio a “Ladri di biciclette” di Vittorio De Sica o “Los olvidados” di Luis Bunuel. Se il film di Labaki fosse un capolavoro come i due sopra citati non saremmo qui a parlarne. Il problema, piuttosto è che la regista non ha mantenuto un distacco emotivo sufficiente da inquadrare il film nell’ambito di un genere cinematografico che prevede una visione distaccata della realtà. Non siamo dalle parti del Neorealismo con il suo carico di drammaticità e con la sua visione cinica e antropologica della specie umana. A mio avviso è questo il difetto imputabile al film, più che presunte cattive intenzioni o desiderio di fare incassi a discapito delle tragedie infantili.

 

Zain adesso vive in Norvegia con tutta la sua famiglia e va a scuola. H avuto un nuovo inizio, così come lo ha avuto la sua famiglia. È successo a tutti i bambini che hanno lavorato nel film. Anche Yonas che in realtà è una femminuccia e si chiama Boluwatife Treasure, è tornata in Kenya e e adessso frequenta la scuola. Questo film ci ha portato questo risultato importante” (Nadina Labaki, Sentieriselvaggi)

 

Riconosco perciò alcune stonature: la traccia musicale fin troppo melensa così come la scelta di chiudere il film con arresti e ricongiungimenti famigliari che hanno edulcorato, forse troppo, la realtà drammatica del paese. Ecco, Labaki avrebbe potuto essere più severa lasciando intravvedere qua e là motivi di speranza senza indulgere troppo nella facile ed appagante risoluzione di tutti i malanni.

Credo, infine, di spezzare una lancia in favore di Labacki nell’approvare il suo desiderio di raggiungere la più ampia e giovane platea possibile usando stratagemmi narrativi accattivanti, già notati nell’altro film libanese che ha fatto ampiamente discuture negli ultimi anni ossia “L'insulto” di Ziad Doueiri. Pensiamo ad esempio alla presenza, in entrambi i casi, della componente giudiziale. In sintesi, seppur non un capolavoro considero questo film positivo per aver messo in luce la disperata condizione di molti bambini abbandonati a se stessi per colpa di genitori poveri e ignoranti, anch'essi lasciati al proprio destino borderline. Chiudo con un dato che avvalora la mia opinione: una struttura moderna ed un finale speranzoso, che combatte e vince guerre e povertà, ha fatto breccia in un mercato “giovane” come quello cinese portando a casa la cifra incredibile di 25 milioni di dollari, nonostante Cafarnao resti un titolo, tutto sommato, di nicchia. Chi più dei cinesi, costretti a nascondere i figli all'anagrafe e a condurre con la propria prole vite spesso al limite del disumano, ha bisogno di credere in belle storie e magari anche ad una carta di identità nuova di zecca che certifica un'esistenza?  Lo desiderava anche una ragazzina fuggita dalla campagna in “Angels wear white” diretto, guarda caso, da un’altra donna, la cinese Vivian Qu. Forse le donne vedono le cose con altri occhi contemplando la realtà attraverso il filtro della speranza. Un punto di vista da prendere in serie considerazione.

 

Cinema Teatro Santo Spirito - Ferrara

 

Zain Al Rafeea

Cafarnao - Caos e miracoli (2018): Zain Al Rafeea

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