Regia di Sophon Sakdaphisit vedi scheda film
Far East Film Festival 20 – Udine.
Mai prendere sottogamba una promessa, soprattutto quando la posta in gioco è elevata. Spesso sono siglate con leggerezza, ma se infrante c’è il rischio di pagare un ingente tornaconto. Magari coinvolgendo in prima persona anche chi non ha colpa alcuna: anche rimettendo la palla in gioco, non è sempre concessa una seconda occasione per rimediare pienamente all’errore originale.
Thailandia, 1997. Ib (Panisara Rikulsurakan) e Boum (Thunyaphat Pattarateerachaichaoren) sono due adolescenti, amiche per la pelle, vittime delle conseguenze della crisi economica thailandese, che ha colpito i loro genitori. Questa situazione inaspettata, le spinge a progettare un doppio suicidio, ma dopo aver visto Ib morire, Boum non riesce a fare altrettanto.
Dopo vent’anni, Bell (Apichaya Thongkham), la figlia adolescente di Boum (Numthip Jongrachatawiboon) già colpita da sonnambulismo, è ossessionata da inspiegabili presenze, riconducibili proprio al fantasma di Ib.
Con The promise, il regista thailandese Sophon Sakdaphisit conferma quanto di buono mostrato nel precedente Ladda Land (recensione di Corinzio), cioè di saper catturare una suggestione e creare una cornice ideale, per poi condurre in avanti la sua linea programmatica, regalando una discreta gradazione dell’angoscia.
Fondamentalmente, forgia una storia di fantasmi e vendetta, con venature da dramma psicologico e un occhio laterale che guarda ai danni collaterali provocati dalle grandi crisi economiche di Stato, a quella ricerca di ricchezza che s’infrange contro un muro e si perpetua successivamente, riportando immancabilmente sul luogo del delitto.
Elementi che vanno a comporre un soggetto comprensivo di una scrittura diligente e di una messa in scena soppesata, che non lascia per strada nemmeno uno spillo, puntando i riflettori su un’atmosfera dalle note sinistre, che si avvale come luogo privilegiato dello scheletro di un grattacielo, protagonista logistico di entrambe le fasi del racconto, separate tra loro da un ventennio tondo.
Anche riavvolgendo il nastro, tutte le strofe finiscono nel posto corretto e l’esecuzione non fatica a produrre scene a effetto, giostrando prevalentemente nel campo del non visto, sul percepito. Semmai è registrabile qualche prolungamento eccessivo, per quanto il passo tenuto sotto controllo sia in perfetta simbiosi con la gestione della tensione, costantemente sostenuta.
Infine, The promise possiede il coraggio di andare in fondo, per quanto alcune sfumature assumano significati aleatori, senza compiere imprese mirabolanti, confermandosi però puntuale nell’intrecciare quelle unioni che rimangono per sempre e nel suggerire scorci simbolici, a cominciare da regole d’ingaggio sciorinate a memoria.
Compatto e circostanziato, sempre sul pezzo.
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