Regia di Nattawut Poonpiriya vedi scheda film
Agli occhi dello spettatore occidentale potrà forse apparire un’idea alquanto “bizzarra” quella di fondere l’heist movie, in altre parole quel genere di film dove viene compiuto un qualche mirabolante furto, o imbroglio, o “colpo grosso”, con il film d’ambiente scolastico, ma tenendo nel dovuto conto l’incredibile peso conferito, nei paesi asiatici, al percorso educativo nel determinare poi le sorti di una persona, non si può far a meno di rilevare la grande capacità di immedesimazione che un film come questo, sempre attuale, offre allo studente asiatico (e difatti, guarda caso, il film ha ottenuto uno straordinario successo nel sud-est asiatico, persino in Cina).
Sicuramente, per gli studenti thailandesi (o giapponesi, o coreani…), costantemente sottoposti ad una pressione terribile in merito agli esiti scolastici, poter rilassarsi godendo dell’intrattenimento offerto da un film che invece rende la tal questione (nella realtà estremamente dura, pesante edeprimente, persino all’origine di un aumentata incidenza di suicidi tra giovani e giovanissimi, come nel caso della Corea [tra i film che raccontano di questo aspetto da ricordare l’eccellente Pluto, 2012]), un qualcosa di cinematograficamente così appassionante, deve aver rappresentato una non indifferente valvola di sfogo, e sicuramente uno dei segreti del successo del film.
Lo stress psicologico “da esame incombente” è esperienza comune agli studenti di tutto il globo, ma tale livello di oppressione, unita alla larga accettazione sociale della severità dell’impianto didattico, per non parlare poi del grande livello di difficoltà (e, conseguentemente, del grande sforzo richiesto), della rigida irreggimentazione, della spietata e continuamente incitata competizione (fin dalla prima infanzia), e non dimenticando l’estrema consapevolezza del carattere “marchiante” del proprio percorso formativo a cui si rimane irrimediabilmente incatenati per il resto della vita (in particolare se poveri o disagiati), sono tutte questioni probabilmente pienamente e profondamente comprensibili solo dagli studenti asiatici (forse).
In confronto ai quali non si può fare a meno che ritenersi fortunati, se si è giovani, per aver avuto la fortuna di nascere e crescere in un paese che, al contrario, offre un ottimo grado di istruzione superiore senza gran parte degli annessi sopraccitati: un’istruzione più equa, meno repressiva, e, se non del tutto universale e gratuita, di certo meno discriminante (seppur non idilliaca e perfetta, è ovvio).
A tal proposito, è chiaro come uno dei punti focali del film, oltre alla ovvia critica del sistema scolastico (perché non è possibile che ad aver accesso ad un istruzione di qualità siano solo i ricchi e i geni [beneficiari delle pochissime borse di studio rese disponibili, che comunque non coprono affatto la totalità dei costi], escludendo così fatalmente gran parte della popolazione), sia rappresentato dalla concomitante critica della società thailandese odierna nel suo insieme (ancora, a quanto pare, profondamente classista, in cui ai poveri non è permesso di sbagliare neppure una volta, pena il doverne pagare le piene conseguenze, mentre ai ricchi il contesto riserva infinite scappatoie; al punto che ai più sfortunati l’unica possibilità di relativa salvezza appare garantita solo dall’adeguarsi all’ideologia dominante, magari vendendo i risultati del proprio duro lavoro a gente immeritevole, non avendo comunque mai la certezza di poter uscire effettivamente dal proprio stato di profonda precarietà e disagevolezza [e se vi risuonano alcune possibili analogie con l'Italia, forse è perché si tratta di una situazione quasi universale]).
Al di là di tali considerazioni, comunque, risulta evidente come la riuscita del film sia da attribuirsi in non indifferente misura anche a più prosaici, si fa per dire, aspetti di natura formale: ovverosia, il fatto di essere narrato con tale arguzia e maestria da tenere lo spettatore quasi sempre col fiato sospeso.
Le sequenze degli esami sono da cardiopalma e, nonostante la durata, il film è per buona parte incredibilmente serrato e avvincente, e si dimostra capace di rilanciare continuamente la storia.
Il finale si potrebbe considerare l’unico punto debole (con una fin troppo repentina, e deludente, metamorfosi di uno dei personaggi principali, prima granitico esempio di rettitudine), ma per il resto questo Bad Genius riserva non poche sorprese, diverte, e non da ultimo invita anche a riflettere.
Molto ben diretto, ha i suoi punti di forza anche nella fotografia e nelle recitazione dei giovani protagonisti.
Come detto, ottiene (meritatamente) un grandissimo successo di pubblico (è il film di maggior successo dell’anno in patria e incassa oltre 30 milioni in Cina), e di critica (vince in praticamente tutte le categorie principali, inclusi miglior film, miglior regia e miglior sceneggiatura, ai Suphannahong National Film Awards, i più importanti premi cinematografici della Thailandia).
Il titolo originale si potrebbe tradurre come “Bravi a barare”.
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