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Bad Genius

Regia di Nattawut Poonpiriya vedi scheda film

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La recensione su Bad Genius

di supadany
8 stelle

Far East Film Festival 20 – Udine.

Quando in gioventù si perde l’innocenza per la prima volta, viene tracciato un solco dal quale non si torna più indietro, perlomeno viene scritta una pagina incancellabile. C’è poco da fare, anche a pentirsi ci sono delle conseguenze che marchiano per sempre. Se poi si parla di barare, si finisce invischiati in un tunnel a imbuto, per cui si può essere anche dei mostri d’intelligenza ma, come un vecchio detto insegna, ogni bel gioco dura poco

Usufruendo di una borsa di studio ampiamente meritata, Lynn (Chutimon Chuengcharoensukying) riesce a entrare in un rinomato liceo, frequentato dai rampolli della società benestante. Qui, grazie al suo QI superiore alla media, comincia a guadagnare denaro passando i compiti in classe ai suoi compagni, cominciando da Grace (Eisaya Hosuwan), la sua amica del cuore.

Ben presto, la situazione le sfugge di mano, tanto da pensare a un piano per far superare a decine di ragazzi l’esame di ammissione alle università più rinomate del mondo. Per portare a compimento questo progetto, lavora a braccetto con Bank (Chanon Santinatornkul), un secchione che in precedenza aveva tradito la sua fiducia.

 

scena

Bad Genius (2017): scena

 

Pensate a un caper movie. Immaginatevelo con la classica formula che prevede un primo colpo che va a segno con un successo su tutti i fronti, un secondo che segna una caduta senza conseguenze esiziali e un terzo, quello che, se portato a segno, sistema i suoi esecutori per tutta la vita.

Riparametrando questa formula sui banchi di scuola, salta fuori Bad genius, un teen thriller dall’esibizione spigliata, con una particolare predisposizione alla battuta tagliente, oltre che alla suspense (molto meglio di 21).

Infatti, l’approccio è elettropop e la classe, intesa come luogo scolastico, diviene l’epicentro dell’azione, con un’incredibile capacità di generare fibrillazioni facendo sembrare lo spazio dell’azione più ampio di quanto in effetti non sia, peraltro dispiegando le energie con stupefacente continuità.

Proprio la frenetica frequenza del numero di giri è il principale tratto distintivo, tallonato comunque dalla capacità di non mollare mai la presa e dall'abilità di stabilire step che possano convivere senza bloccare l’attrazione magnetica esercitata sullo spettatore.

Allo stesso tempo, è altrettanto chiaro che ci siano forzature, ma si tratta di furbizie assolutamente lecite e pertinenti alla congiuntura instaurata, fatta forse a eccezione del finale, che sente il dovere di fare una chiarezza più educata, mettendo in risalto degli ideali in parziale disaccordo con delle premesse funzionalmente scorrette.

Ciò nonostante - senza trascurare l’apporto di una colonna sonora che aggiunge un carico di adrenalina - lo spirito d’iniziativa è troppo croccante per non lasciarsi abbindolare, con l’eco dei banchi di scuola ad assumere un valore sostanziale (altro che Immaturi e i suoi esami da ripetere oltre tempo massimo), sfruttato grazie a un’intuitività prelibata, la cui ingenuità rientra semplicemente nei parametri di un pensiero comune: faticare per raggiungere l’obiettivo è sfiancante e credere di poterla fare franca è un principio auto assolutorio a cui siamo portati a credere, semplicemente perché rassicurante. Se poi andrà male, in qualche modo ce la caveremo (Italia docet).

Gagliardo e galvanizzante, comprensivo di un retrogusto amarognolo e tanto mestiere.

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