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Mori, the Artist's Habitat

Regia di Shuichi Okita vedi scheda film

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La recensione su Mori, the Artist's Habitat

di supadany
8 stelle

Far East Film Festival 20 – Udine.

Conoscere il luogo in cui si abita è più importante di quanto siamo portati a credere. Ormai, andiamo talmente di corsa che nemmeno notiamo macro trasformazioni, per cui è impensabile stare al passo con tutte quelle variazioni che, sommandosi una con l’altra in un arco temporale più diradato, modificano radicalmente un ambiente.

Eppure, tornare a osservare e non semplicemente vedere, aprirebbe la strada a pensieri accantonati in un cassetto, contribuendo a sviluppare legami più resistenti con quei doni, troppo spesso sottovalutati, che la natura ci ha consegnato tra le mani. Se attivassimo questa view of life, probabilmente non andremmo più all’ostinata ricerca di un universo lontano, in quanto ci basterebbe ciò che abbiamo a pochi passi.

Dopo essere diventato una celebrità per la sua produzione di dipinti raffiguranti la natura, Kumagai Morikazu (Tsutomo Yamazaki) ha scelto di ritirarsi a vita privata, rimanendo confinato per decadi nella sua dimora, comprendente un giardino lasciato germogliare come fosse un piccolo bosco.

Qui, condivide lo spazio con sua moglie Hideko, ricevendo svariate visite di ammiratori, curiosi o semplici vicini di casa, con sarcastica riluttanza, dato che ognuna di queste presenze toglie del tempo prezioso alla sua simbiosi con il microcosmo naturale che lo circonda.

Un rapporto che rischia di essere compromesso da un cantiere adiacente alla sua proprietà, sul quale sta per sorgere un condominio che leverà alle sue piante il regolare afflusso di sole.

 

Tsutomu Yamazaki

Mori, the Artist's Habitat (2018): Tsutomu Yamazaki

 

Quella imbastita da Shuici Okita – di cui il precedente The mohican comes home arrivò terzo al Far East Film Festival nel 2016 - è una biografia inusuale, quasi esclusivamente concentrata nell’arco di una giornata, un’opera conciliante che stabilisce una felice e stabile connessione. Ciò avviene grazie alla figura di un uomo completamente e volontariamente slegato dalla società moderna, un minuscolo e rigoglioso ecosistema naturale che ha tanto da mostrare in quei pochi metri quadrati di spazio su cui ha preso forma e a una serie di personaggi di contorno, che prestano visita al venerato artista riportando le richieste più disparate, dando luogo a rapidi siparietti, ilari ed estemporanei.

Questa serie di ingredienti è assemblata in modo tale da ricreare un habitat percettivo nel quale scivolare soavemente senza nemmeno rendersene conto. Un luogo consono alla stimolazione di riflessioni sull’ormai compromesso rapporto tra uomo e natura, sull’opportunità di guardarsi intorno nutrendo la curiosità per le piccole meraviglie senza rimanere sempre e solo schiavi della tecnologica, e sull’esigenza di non agire sempre e solo con impulsività o seguendo le indicazioni convogliate dalla società, muovendosi nelle questioni più importanti solo dopo aver ponderato, valutato con scrupolo e fatto sedimentare le idee.

Trattasi di considerazioni che attecchiscono celermente in virtù di una tessitura accogliente, comprendente un motivetto musicale che tiene il tempo del movimento di fauna e flora, sfruttando il prezioso binomio costituito da vecchiaia e saggezza per ricreare uno squarcio di mondo rilassante ma tutt’altro che pigro, allegando una disintossicante – e implicita - rendicontazione di consigli di vita.

Un bel quadretto fuori dal mondo, estremamente spiritoso e un po’ scontroso, un giardino descrittivo che nutre arte e spirito.

Pacificato.

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