Regia di Kazuya Shiraishi vedi scheda film
Far East Film Festival 20 - Udine.
Cinematograficamente parlando, non c'è latitudine al mondo che non abbia visto proliferare il crime movie, con la specifica sintonizzazione sulla contrapposizione tra agenti di polizia e risme di cosche criminali in lotta per l'acquisizione del potere più tentacolare.
Un'ideale narrativo che è quasi pleonastico affermare abbia visto con gli yakuza movie giapponesi (Sonatine, Outrage, Ichi the killer) una delle diramazioni più significative e longeve degli ultimi 20/30 anni. Un filone che vede aggiungersi The blood of wolves, un titolo maggiormente predisposto alle soluzioni ad effetto piuttosto che alla ricerca di una solida credibilità.
Hiroshima, 1988. In un distretto di polizia, il nuovo arrivato - e fresco di accademia - Shuichi Hioka (Tori Matsuzaka) entra subito in contrasto con il navigato Shogo Ogami (Koji Yakusho), un detective egocentrico dal comportamento promiscuo.
In realtà, pur ricorrendo a metodi dicotomici, quando si tratta di impegnarsi per sgominare potenti gang della yakuza, non hanno un obiettivo finale così significativamente dissimile.
Per comporre The blood of wolves, Kazuya Shiraishi saccheggia archetipi dai yakuza movie, ricorrendo inoltre a indottrinamenti prelevati da cult movie polizieschi e d'azione, che negli anni hanno influenzato produzioni provenienti da ogni dove.
Consequenzialmente, ritroviamo la scatenante combinazione tra poliziotto buono (idealista e fiducioso) e cattivo (scorretto e sprezzante), un principio di politically uncorrect e tempi scenici tipicamente action (e americani).
Caratteristiche che stabiliscono le coordinate salienti per articolare l'eterna sfida tra la giustizia a doppia velocità (chi segue le regole alla lettera e chi sa bene che in questo modo non si va molto lontano) e malviventi che puntano il bersaglio prescelto, senza andare per il sottile quando è il momento di eliminare dalla circolazione un qualsiasi impedimento.
Un lungo conflitto - diciamolo, due ore abbondanti sono troppe, estenuanti - che gestisce ad mentula canis i suoi cardini, con sovrapposizioni continue tra le parti imbastite lasciando scaturire un'espressione di casualità, orientando il focus soprattutto sul fattore cinetico.
Tuttavia, adotta una disposizione dagli esiti intermittenti e lo stile sovraeccitato, che richiama un'altra epoca mediante una fotografia granulosa di bassa lega, produce innanzitutto confusione, al netto di esecuzioni sadiche che riscaldano gli animi.
È comunque questione di soddisfazioni estemporanee, dagli effetti temporanei e intavolati su sfondo uniforme, per un film volutamente eccessivo, ma quasi per niente pragmatico nel suo tentativo, veemente e disordinato, di coagulare sapori di cinema dalla diversa radice.
Un risultato discutibile, per non dire sconfortante se confrontato con yakuza movie già solo di medio cabotaggio.
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