Regia di Takahisa Zeze vedi scheda film
20 FEFF Udine
"Quando c'è l'amore.... anzi l'ammmore....c'e' tutto".
Due fidanzatini belli ed innamorati ci costringono a partecipare al loro settimo cielo, facendoci condividere primo appuntamento, primo bacio, la scena dell'anello che prelude alla richiesta in sposa di lui, impacciato ma non troppo, con lei, distratta e vittima di uno scherzetto innocente quanto ben destreggiato.
Ma quando i due fissano la data delle nozze nel locale dei loro sogni, soli tre mesi prima del gran giorno, la ragazza viene colta da una crisi nervosa acuta che nasconde un grave trauma cerebrale che la porta in poco tempo al coma: una rara malattia che inizia con un problema genitale, che induce il fisico a creare anticorpi tali che arrecano danni serissimi alla massa cerebrale.
Risultato: mesi di coma profondo, ed un risveglio lento che costringe la paziente ad una sorta di rinascita, nel corpo di cui deve tornare padrona, e dell'identità di un pensiero che pare debba ricominciare da zero come una memoria resettata.
Un promesso sposo che non si arrende, sostiene la famiglia e aspetta fiducioso ed eroico ben altri otto anni per poter celebrare, nella stessa data originariamente prevista, il matrimonio tanto desiderato da entrambi, coronando un sogno d'amore che in qualche modo ha dovuto ricrearsi. Otto anni trascorsi a reimpostare la conoscema reciproca, tra drammi, sfiducia da gettare ostinatamente ogni volta lontano dal proprio cammino, lotte per far tornare tutte le basi per ricreare in idillio perduto per colpa di un destino avverso e beffardo.
In Giappone, ma pure negli Usa se vogliamo, la commedia sentimental-drammatica con sconfini nel lacrimevole e preconfezionati sul côté malattia degenerativa (o coccolone improvviso vero e proprio, come in questo caso) all'insegna di un vero e proprio melodramma ospedaliero, funziona assai bene, ed il successo in patria di questo melò giovanilistico ne è ulteriore abbondante, forse definitiva conferma.
Gli sceneggiatori qui, approfittando dello spunto reale che un avviso minatorio si prende cura di informare in anticipo gli spettatori (quasi a metterli in guardia dalla minaccia che incombe su di loro), evidentemente si sentono autorizzati a perdere ogni senso del limite, osando l'inosabile.
E il film, melenso fino a traboccar melassa soffocante, sfianca non poco lungo le sue due ore estenuanti: peggio ancora quando la macchina si intestardisce sul volto paffuto e candido della povera sfortunata, o sul sorriso disarmante ed apertissimo del suo agognato promesso sposo.
Una coppia sempre pronta a mostrare le rispettive dentature sviluppatissime e di gran qualità, pure nei momenti in cui il sorriso non appare affatto come l'espressione più consona.
Love story di Arthur Hiller, famoso capostipite di genere risalente al lontano 1970, notissimo tra il pubblico, ma anche talvolta snobbato e criticato, continua, almeno per me al confronto, ad acquistare punti e a rivalutarsi rispetto ad opere fastidiose come questa: almeno per un certo pudore oltre il quale quest'ultimo riusciva, a differenza di questo nostro irriducibile nipponico, a fermarsi non oltrepassando i limiti di una stucchevolezza ed una prolissità (quasi due ore!!) a mio avviso indifendibili.
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