Regia di Gabriele Mainetti vedi scheda film
Dopo il già apprezzato Lo Chiamavano Jeeg Robot, Gabriele Mainetti, a distanza di sei anni (come passa veloce il tempo!!!), compie un salto qualitativo con l'altrettanto tamarro Freaks Out. Siamo nel 1943, durante i rastrellamenti di Roma compiuti per mano nazista. Mainetti, che scrive come suo solito il copione in sodalizio col fidato Nicola Guaglianone, compie un'operazione “tarantiniana” generando un film di storia alternativa che ricorda, in parte, il fake trailer Werewolf Women of the SS (2007) diretto da Rob Zombie quale episodio del progetto Grindhouse del duo Quentin Tarantino e Robert Rodriguez. Protagonisti, infatti, sono i componenti di un gruppo di quattro sgangherati “fenomeni da baraccone” che si esibiscono a Roma presso una compagnia circense diretta da un ebreo (“Circo Mezzapiotta”). Si tratta di veri e propri freak che, tuttavia, si differenziano da quelli visionati nel capolavoro Freaks (1932) di Tod Browning in quanto titolari di poteri paranormali. Si entra dunque nel campo di un fantastico che potremmo definire “kinghiano”, ai confini dell'horror (ci sono torture, teste spaccate, soggetti con arti amputati ed esecuzioni in primo piano). Oltre al già visto uomo lupo (un Santamaria versione Chewbecca ovvero lo scimmione di Star Wars), abbiamo un ragazzo capace di veicolare gli insetti (stile la protagonista di Phenomena di Dario Argento), un nano con verga versione La Bestia in Calore in grado di attirare i metalli come una calamita e una ragazza pirocinetica. I quattro sono ricercati da un pianista tedesco (l'eccellente Franz Rogowski, il migliore del cast artistico), schiavo delle droghe e così abile da aver estrapolato dal futuro la melodia di Sweet Child of Mine, dotato di poteri chiaroveggenti che sogna di creare un esercito di super soldati per salvare il Reich dalla capitolazione da lui stesso profetizzata ai gerarchi. Un po' come in Bastardi senza Gloria, Mainetti propone spettacoli in sala (nella fattispecie circense) di totale invenzione in cui fa confluire personaggi realmente esistiti, quali il feldmaresciallo Albert Kesselring, oltre a episodi reali che vanno dai rastrellamenti di Roma ai viaggi sui cosiddetti “treni della morte” passando per i blitz dei partigiani (grandissimo Max Mazzotta nei panni del gobbo). Come nel film di Tarantino, tuttavia, si apre una dimensione parallela che stravolge gli accadimenti. Mainetti confeziona per tale via un film che contiene in sé generi molto diversi tra loro, quali il war movie (notevoli le scene di battaglia, specie se si considera che siamo in un film interamente italiano), il fantastico paranormale, il cinema dei super-eroi e la commedia. La componente tamarra è marcata, rappresentata dai dialetti volontariamente romani, da personaggi che dir sopra le righe è dir poco e da scene letteralmente fuori di testa (Santamaria che sodomizza una donna lupo, un po' sulla scia di quanto fatto da Marinelli in Lo Chiamavano Jeeg Robot, o Giancarlo Martini che esibisce una verga da fare invidia a Siffredi).
Eccezionali fotografia e costumi, mai visti così belli in un film di genere italiano. Plauso soprattutto a Michele D'Attanasio, tra i migliori direttori della fotografia in assoluto in attività in Italia. La sua prova è all'altezza di Hollywood.
Mainetti, dal punto di vista tecnico e di capacità nella messa in scena, compensa il gap con la cinematografia americana e lo fa avendo a disposizione un budget di gran lunga inferiore (appena 13 milioni di euro contro le centinaia di milioni di dollari di prodotti similari). Non a caso la pellicola ha strappato sedici nomination ai David di Donatello e dieci ai Nastro d'Argento, conquistandone rispettivamente sei e tre. Il film ha inoltre sbancato al Toronto After Dark Film Festival dove ha conquistato praticamente tutto. Tiepida l'accoglienza dei critici americani, che argomentano le loro opinioni dimenticandosi quanto abbiano fatto Tarantino e Rob Zombie, ma non c'è da sorprendersi: stroncarono anche Sergio Leone.
Freak Out è forse il miglior film di genere italiano del secolo in corso. Purtroppo, nonostante i riconoscimenti, Mainetti è un regista tutt'altro che prolifico. Preme, a ogni modo, evidenziare come il cinema di genere in Italia si sia ripreso, pur se con un lotto di prodotti numericamente inferiore rispetto agli anni '70, a fronte di tutti coloro – registi di un tempo compresi - che andavano dicendo che era morto. Per una volta, sarebbe il caso di riconoscere i meriti anche delle nuove generazioni. Bravi.
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