Film che racconta delle diversità all’ombra della persecuzione dei nazisti…quattro freaks con doni singolari vengono “marionettati” in un Italia di macerie dal direttore di scena Ismael di origine ebraiche ma l’inasprirsi del conflitto li spinge a provare a scappare in America.
Mainetti in piena simbiosi con lo sceneggiatore Guaglione, dopo il successo dell’anti-marvel “Lo chiamavano Jeeg Robot”, mette a fuoco un’opera visionaria e ambiziosa ricca di omaggi in stile blockbuster non solo per la durata ma perché anche denso di maestranze.
Il regista, forte di una squadra costumisti e di una fotografia pregiata, risalta l’importanza delle immagini e degli abiti di scena donando allo spettatore una visione…imbastisce infatti una tavolozza di colori che avvolge anche “l’inchiostratura “ dei personaggi con le loro sottili ed umane sfumature mentre un carosello di volti paganti stupefatto fantastica l’illusione della fine del conflitto….non c’è truffa come nell’ uomo dei sogni” di Tornatore nelle piazze dei paesini grigi del neoclassicismo delle chiese ma solo qualche momento di meraviglia dove l’immaginazione diventa realtà. Proprio in questo distillato di emozioni danzano, come in una fiaba “Collodiana”, un uomo dotato di una forza disumana e affetto da ipertricosi, un albino amico degli insetti, un nano magnetico con un cappello da pagliaccio pon pon alla Pierino e una ragazzina con ottima conduttanza elettrica. A gestire lo spettacolo dei fenomeni da baraccone , mentre ragazzini giocano a fare purtroppo i grandi fumando nazionali senza filtro, c’è Israel (Giorgio Tirabassi) che tiene in piedi le speranze e le utopie dei suoi quattro “disgraziati” figli…si alza il tendone del Circo e il mondo circostante diventa una chimera come nel paese dei balocchi.
In realtà in contrapposizione al variopinto ambiente nomade e circense Felliniano c’è il delirio della rastrellamento nazista all’ombra di una piazza con filo spinato, polvere e il famigerato Gaswagen che ricorda lo stile documentarista di Loy ma che omaggia il cinema del neorealismo di Rossellini in chiave moderna comics. Con un ritmo calzante e una colonna sonora che naviga attraverso i decenni, il regista si apre a De La Iglesia tracciando la complessità psicologica dei protagonisti attraverso i fotogrammi… un nano superdotato ma erotomane perché “deforme” (Giancarlo Martini), il biondo che governa gli insetti(Pietro Castellitto) con un forte complesso di Edipo ma che ha paura delle api, l’uomo venuto dal “pianeta delle scimmie” (Claudio Santamaria) ossessionato dalla discriminazione ed infine Matilde (Aurora Giovinazzo…migliore recitazione del cast) cioè la donna elettrica che rappresenta la solitudine in quanto incapace di abbracciare e con un passato che dalla nascita è stato difficile da inghiottire ma che sogna OZ e lo troverà ....ognuno di loro è dotato in fondo di una bontà che va al di la dell’ aspetto e forse è questo il motivo di cotanto odio, sfruttamento ed emarginazione sociale…non c’è però solo uno sguardo nichilista alla natura dell’uomo come nell’ossessione nazista di creare una armata di supereroi capace di vincere la guerra ma trionfa, come in tutti i film di stampo Marvel, il sentimento dell’amicizia vincolato all’ ”anormalità”…il nazista ricattato e freak Franz rappresenta l’altro volto del lato umano cioè quello dell’olocausto, della deportazione e del fallimento della società narrato anche nei bastardi di Tarantino…questa volta non ci sono i russi del “Ragazzo invisibile” di Salvatores o i franchisti di Del toro ma tanto il male ha sempre la stessa uniforme.
Attraverso la valigia dei sogni e quella delle illusioni , Mainetti mette in scena con una timbrica de'noantri trasteverina la fuga dallo sfruttamento come cantava De Gregori nella “Donna cannone”, dagli incubi e dalle paure e forse dalla vendetta come nel sotto testo di Browning… il tutto in una cornice storica degna di un kolossal fantasy ma con i toni lirici melodrammatici alla Del Toro per intenderci.
Un cinema insomma che si rifiuta a differenza del circo “Mezzapiotta” di percorre solo territorio nostrano ma, forte della sua potenza visiva, aspira alla Hollywood delle produzioni. Per una volta godiamoci un film italiano commerciale…se d’autore ben venga il commercial
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