Regia di Gabriele Mainetti vedi scheda film
Mainetti cerca di confermarsi come Messia del nuovo cinema pop italiano.
La recensione che segue la trovate anche sul mio blog.
Accolto e coccolato come il Messia del nuovo cinema italiano, Gabriele Mainetti, con Freaks Out, si presenta ad una prova del fuoco per niente scontata, cinque anni dopo la sua opera prima. Se Lo chiamavano Jeeg Robot fu il tentativo riuscito di portare in sala un cinecomic alla gricia, questo nuovo lavoro rappresenta per il regista romano l'ambizione di alzare nuovamente il livello del cinema d'intrattenimento pop tricolore, la volontà d'imporre un nuovo standard qualitativo in termini prima di tutto tecnici.
In effetti l'incipit dell'opera è incredibile: il contrasto netto tra la giocosità circense dei protagonisti ed il degrado della Roma occupata esplode in un tripudio di magia, tensione e spettacolari effetti speciali. E così lo spettatore si ritrova calato in un mondo lontano ma al contempo familiare, grazie anche ad una ricostruzione scenografica ineccepibile. Gli attori sono perfettamente calati nelle parti, ma a spiccare sono il talento della giovane Aurora Giovinazzo e la verve umoristica di Pietro Castellitto.
Coadiuvato da una colonna sonora sognante, in parte Mainetti sembra divertirsi a fare Spielberg. Tralasciando il racconto in sé, ovvero la solita storia di un gruppo di emarginati destinato a salvare il mondo, l'autore imbastisce sostanzialmente un “blockbuster fantastorico” e lo farcisce con ciò che di più importante il cinema d'intrattenimento americano ci ha insegnato: la rinuncia del realismo in nome di una spettacolarizzazione continua. Così il made in USA si fa sentire sia nelle sparatorie in campo aperto che nello splendido omaggio western al The Great Train Robbery di Porter, fino all'inserimento di una marcia ribelle sulle note anacronistiche di Bella ciao (storicamente la canzone è posteriore alla guerra, ma dopo La casa di carta la cantano anche gli asini quindi è giusto inserirla).
Dall'altra parte però c'è un Mainetti fieramente italiano, che ibrida la sua opera con una comicità popolaresca, un registro basso che ben figura come contrappeso all'epica della prima parte dell'opera. Peccato che nella sua seconda parte Freaks Out invece perda quello slancio iniziale che tanto faceva pregustare il capolavoro. Nonostante l'impatto visivo non venga mai meno, lo svolgimento della trama arranca, diluita inutilmente da passaggi narrativi evitabili, mentre la magia spielberghiana viene sacrificata per dare spazio a nudi fuori contesto che, quale che fosse l'intenzione, risultano solamente gratuiti e volgari. Sicuramente il grottesco fricchettone è ben rappresentato, ma si va a perdere la magia cinematografica sin li ricreata.
Detto ciò, Freaks Out rimane un'opera capace di sorprendere e, a tratti, meravigliare; forse, spogliata di tutte le sue velleità rivoluzionarie, i suoi (tanti) pregi nasconderebbero i momenti più deboli, ma si tratterebbe comunque di un'illusione, dell'essere idolatrati per essere stati i primi. Il secondo film, la conferma, è un altro tipo d'impresa, molto più difficile. E non basta fare un bel film.
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