Regia di Orson Welles vedi scheda film
Trascinato dal mio flusso di pensieri, ho elaborato questa 'recensione' dell'ultimo Film (molto postumo) di Orson Welles e, vista la sua relativa lunghezza, ho pensato potesse avere senso pubblicarla in questo sito, magari con la possibilità di ampliarla dopo le prossime visioni.
Ideato da Orson Welles già negli anni '60, a partire dal suicidio di Hemingway, girato negli anni '70 in diversi blocchi di riprese e iniziato a montare dal Regista fino alla sua morte, "The Other Side of the Wind" ha vissuto una delle produzioni più lunghe e travagliate (se non la più lunga e travagliata) della Storia del Cinema, incontrando negli anni diversi problemi legali, dovuti soprattutto all'astio di Beatrice Welles, figlia dell'Autore, verso Oja Kodar, co-sceneggiatrice e attrice del Film ma soprattutto compagna di vita del Cineasta nell'ultimo periodo della sua vita. Comunque, tra il 2014 e il 2018 inizia a vedersi, grazie anche ad un crowdfunding, la possibilità di un completamento e finalmente nel 2018 l'Opera vede ufficialmente la luce al Festival di Venezia, per poi essere distribuita da netflix.
Chiudendo la parentesi 'dietro le quinte', "The Other Side of the Wind" si presenta come un Film notevolmente sperimentale e decisamente in linea con la Poetica di Welles, a partire paradossalmente dal suo distanziarsi da qualsiasi altro Lavoro del Cineasta: metacinematografico ma senza esserne compiaciuto, mockumentaristico ma senza prendere sul serio la missione 'realistica' dei mockumentary (soprattutto quelli attuali), allo stesso tempo satira della New Hollywood e di tutte le nuove ondate cinematografiche sessanta-settantiniane ma genuinamente fuori dagli schemi nella sua costruzione. Lo stesso personaggio di Hannaford, il Regista interpretato da Huston e basato su Hemingway, sembra richiamare Welles (o almeno il suo Mito) eppure ne è completamente distante, e lo stesso vale per il modo d'intendere il Cinema: se diverse frasi (direttamente proferite da Hannaford o riprodotte da vari nastri) riecheggiano opinioni sul Mezzo filmico dello stesso Welles (a partire dalla 'scatola-cinepresa' che 'ama' oppure no gli/le interpreti), il tipo di Film realizzato dal Cineasta fittizio (anch'esso "The Other Side of the Wind") è più vicino ad una sorta di parodia di quel Cinema europeo avanguardistico che, tra Opere genuine e altre forse semplicemente 'pretenziose', andava forte in quel periodo. Il 'documentario' della festa invece ricorda moltissimo quel Capolavoro di (non)documentario che è "F for Fake", ed è più che probabile, vista la mole di materiale raccolto (96 ore quasi equamente divise tra la cornice della festa e il film nel film) dalle varie camere usate, che sia stato adottato proprio un approccio documentaristico al montaggio, non solo nelle parti della festa ma anche nell'opera di Hannaford.
Di fatto, però, non è importante stabilire quanto l'Opera mostri 'fedelmente' la visione del Mondo e del Cinema di Orson Welles e quanto sia invece pura astrazione narrativa (né quanto sia entrambe le opzioni sfumate l'una nell'altra, cosa che io, seguendo la mia Idea di Cinema, credo). Quello che mi importa, almeno dopo questa mia prima visione, è ciò che stimola "The Other Side of the Wind", e quello che intanto mi stimola è, come in altre Opere di Welles, una volontà di buttarsi nella realizzazione di un Film, esprimendo così me stesso ma senza cadere nella banale autobiografia.
Notevole, stilisticamente, il passaggio rapido (ma senza scadere, emotivamente, nella frenesia 'casuale') tra bianco e nero e colore, tra la cornice della festa e l'opera cinematografica interna alla finzione, e notevole è la Fotografia, sempre molto 'artistica' nell'uso di luci e colori e mai meramente 'documentaristica'. Grandiose tutte le Interpretazioni, a partire quella di Huston, ennesimo Protagonista Wellesiano perennemente in bilico tra un'Onnipotenza 'divinamente diabolica' e la Fragilità 'banalmente intima' di essere umano, ma anche ennesimo Protagonista wellesiano differente da tutti i precedenti Protagonisti wellesiani. Ottima la colonna sonora jazzeggiante di Michael Legrand e ottimi i dialoghi, ma soprattutto grandiosa la Messa in Scena di Welles, attenta alle Sfumature volontarie e involontarie catturate dallo sguardo della Macchina da presa.
Insomma, un Capolavoro da rivedere e studiare assolutamente.
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