Regia di Jeremy Saulnier vedi scheda film
Il quarto lungometraggio di Jeremy Saulnier conferma le doti del regista in termini di rilettura del genere – horror o thriller che sia. Atmosfere cupe, pulizia visiva, iconografie ben dettagliate ed evocative, per non dire dei plot di cui si occupa, sempre storie di una certa disperazione, di un certo pathos esistenziale che danza macabro sulle orme dei classici del genere rinnovandoli nella loro struttura narrativa senza cedere il passo alle estreme innovazioni tecnologiche e alle loro estreme e omologanti rese visive finali.
In Hold the Dark il regista ci porta ai confini dell’Alaska settentrionale, un territorio americano dimenticato dall’America e dalle leggi di Stato. Qui vivono comunità di bianchi e nativi, a volte in meticciato e a volte in conflitto perpetuo, ma in qualunque caso sempre comunità contigue alla natura selvaggia e al carattere predatorio degli animali che la popolano. Soprattutto il lupo, animale totemico in ogni angolo del mondo e che qui acquista realmente uno dei suoi più conosciuti significati, quello dello psicopompo, traghettando dal mondo dei vivi a quello dei morti innocenti bambini. Dalla leggenda alla verità crudele e desolante il passo è breve, pur restando impresso in un’aura di mistero e misticismo che solo popoli strettamente legati alla natura o ad essa condannati, come i reietti che fuggono tra le nevi perenni della fine del mondo, possono capire e riconoscere.
È in questi territori che l’uomo di scienza arriva per uccidere il lupo che rapisce i bambini e scoprire la follia della maschera tra disperazione umana e sincretismo rituale. Da un topos all’altro, e cappuccetto rosso perde le sue coordinate per lasciare spazio all’imprevedibile twist narrativo che trasfigura il lupesco nell’umano. La feralità dell’uomo sembra non avere rivali nemmeno in natura.
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