Regia di Jeremy Saulnier vedi scheda film
Oggi, recensiamo Hold the Dark di Jeremy Saulnier. Regista indipendente che negli ultimi anni si è creato una fama autoriale cult, avendo firmato due fra i più intriganti e inquietanti film di questa decade, ovvero Blue Ruin e Green Room. Film dalle atmosfere ipnotizzanti, rarefatte, ove i personaggi, in seguito a incredibili eventi che hanno violentemente sconvolto l’andamento regolare delle loro vite, son stati costretti giocoforza a rivedere i loro radicati e radicali punti di vista, giusti o sbagliati che fossero, azzerando le loro certezze a ragion proprio di avvenimenti scombussolanti e assai imprevisti che li hanno obbligati a cambiare traiettoria esistenziale. E a modificare la loro natura, entrando spesso in contatto con le zone più oscuramente meandriche delle loro trafitte anime stupefatte e incredule. Esposti ad accadimenti impensabili che li hanno messi di fronte, appunto, al loro sinistro, minaccioso lato dark.
Dunque, Hold the Dark è senza dubbio il titolo più pertinentemente in linea con quella ch’è stata, sino ad ora, la poetica di Saulnier. Atteso al varco, a Gennaio, con la terza stagione di True Detective. E mi parrebbe pedante starvi a sottolineare, ve ne accenno soltanto, quanto le atmosfere macabre e pessimistiche di True Detective, ancora una volta, si addicano a un regista come lui. Almeno sulla carta...
In attesa però di sapere come sarà True Detective 3, del quale comunque Saulnier, in seguito a scontri con la HBO, è stato regista soltanto di alcuni episodi, analizziamo questo Hold the Dark.
Film uscito un po’ in sordina il 28 Settembre su Netflix e subito accolto da pareri fortemente discordanti.
La Critica, sì, si è spezzata in due netti tronconi fra chi, aficionado di Saulnier, ha ricoperto il film di elogi e chi, invece, assai scettico riguardo alla pura valenza del risultato finale, non ha lesinato nello stroncarlo abbastanza impietosamente.
Fra quale delle due fazioni il sottoscritto si schiera? In nessuna delle due. Ecco, non scambiate quest’atteggiamento mio prudenziale ed equidistante per avveduta furbizia o per snobistico posizionarmi, orgogliosamente neutrale, in una zona franca conveniente affinché non possa attirarmi antipatie né da parte di chi ha amato alla follia Hold the Dark né da parte di coloro che l’hanno lapidariamente affossato.
Sospendo momentaneamente il mio giudizio perché Hold the Dark è un film così tanto insoddisfacente e arrogante, a mio parere, che paradossalmente m’induce inevitabilmente a nutrire il dubbio che, dietro questa sua vistosa, perfino imbarazzante irrisolutezza e tanta sfacciata presuntuosità, dietro tanta impudica boria espressiva e filmica, tal pellicola in verità sia molto più bella di quanto m’è, di primo acchito, apparsa.
Il film è tratto dall’omonimo romanzo di William Giraldi.
Russell Core (Jeffrey Wright), naturalista in pensione, riceve una lettera di suppliche da parte di una donna misteriosa, Medora (Riley Keough), che lo implora affinché si rechi nel suo villaggio e dia la caccia ai lupi che hanno portato via suo figlio, probabilmente sbranandolo nel bosco e divorando la sua castissima innocenza.
L’uomo, risolutamente e senz’esitare neppure un istante, prende l’aereo e arriva ai piedi dell’abitazione di Medora. Che lo ospita ben volentieri a casa sua. E gli garantisce vitto e sereno alloggio, sì, doviziosamente gli offre pietanze sapientemente riscaldate e soprattutto un posto tranquillo, caldissimo e intimo, in tutti i sensi, ove Core può riposarsi prima di avventurarsi nella scura, tetra zona boschiva.
E nella notte qualcosa avviene fra i due anche se Saulnier ce lo lascia solo sottilmente intuire.
Al risveglio, la mattina dopo, Core si mette in viaggio alla volta dei lupi. Arrivato nel loro covo, si accorge con sua somma sorpresa che l’intero branco sta mangiando e spolpando un cucciolo. I lupi, per colpa della sua imbranataggine, stanno per aggredirlo ma Core imbraccia sveltamente il fucile ed è lì pronto a tramortire il capo branco. Ma poi esita, i lupi demordono dall’attaccarlo e Core torna a casa di Medora. Al suo ritorno però la donna è scomparsa. Lasciando la sua casa incustodita.
E qui mi fermo per non svelarvi altro.
Ecco, se fino a questo momento, il film aveva giocato alla grande le sue carte, grazie a un Jeffrey Wright volutamente inespressivo e spaurito, ieratico e con la folta barba canutamente brizzolata da saggio della montagna, una Keough al solito fotogenicamente ammaliante quanto atarassicamente disturbante, e una potente ambientazione glaciale e notturna, repentinamente e in modo scioccante, passiamo dall’ambiguità e dagli appropriati sottintesi a un delirio alquanto inspiegabile che sta facendo le fortune dei poveri semiotici. Atti a rincitrullirsi in esegesi piuttosto ridicole e saccentemente tronfie.
Il marito di Medora, il soldato, tiratore scelto Vernon Sloane, interpretato con la consueta, insopportabile leziosità pseud-intensa dal lupesco (è il caso di dirlo) Alexander Skarsgård, viene congedato dal fronte di guerra per una grave ferita al collo.
La trama, così come di pari passo le azioni dei personaggi, si fa man mano, crescentemente indistricabile, assurda, ricolma di simbolismi indecifrabili. E pare che Saulnier si prenda gioco di noi nel mescolare intrighi insensati e a riempire la sua storia di situazioni totalmente, abbondantemente illogiche. Come se, attraverso un intreccio appositamente traboccante d’insaziabili follie, di balzane ermeticità, avesse voluto ammantare il film di arcano mistero. Rivestendolo da sé, per sua sola ambizione di sembrare un considerevole autore a tutti i costi, di un’aura speciale da film inderogabilmente fascinoso e magnetico destinato a far discutere e suscitare estrema curiosità.
Rimango assai dubbioso che sia riuscito in quest’intento. Assai, davvero. E, nel frattempo, permettetemi di dubitare sul valore effettivo di Hold the Dark.
Forse, chissà, Saulnier desiderava esattamente ciò. Far sì che, per via della sua sfrontata, sulfurea insensatezza, il suo film c’invogliasse a rivederlo e ci scervellassimo nel cercare di darci delle plausibili spiegazioni dinanzi al suo nonsense abbastanza fastidioso.
Ma non mi frega.
La sua pellicola, stavolta, a differenza delle sue opere precedenti, non mi ha affatto impressionato e penso fermamente di non sbagliarmi nel definirla un passo falso nella sua, mi auguro, invece brillante carriera registica.
Quindi, come vedete, non mi sono espresso appieno di valutazione ferrea e intransigente, ma ho comunque rivelato il mio punto di vista, con schiettezza e senza panegirici troppo sofisticati di sorta.
Al contrario del film di Saulnier, film privo di sguardo morale, freddissimo, artificioso e manierato. Che dice tutto e non dice niente ma soprattutto pochissimo emoziona.
di Stefano Falotico
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta