Regia di Paul Greengrass vedi scheda film
Magnifica tutta la prima parte, o meglio i primi quarantacinque minuti circa, durante i quali Greengrass sfodera tutto il proprio grintoso talento. Forte di quel taglio fortemente realistico che sappiamo essere la sua cifra stilistica, il regista confeziona un crescendo di tensione sbalorditivo e furente che è indubbio grande cinema.
Ma è il secondo tempo ad affossare del tutto il film, ovvero da quando Breivik viene arrestato e l’attenzione si sposta su Viljar, ragazzino miracolosamente sopravvissuto alla strage, costretto a una dolorosissima (moralmente quanto fisicamente) ma soprattutto interminabile riabilitazione della quale non ci viene risparmiato dettaglio alcuno. Anzi, tanto Greengrass affonda il coltello nella piaga da finire per abbracciare il patetismo più derivativo e scialbo e rendere pedante, ripetitiva e francamente interminabile quella che aveva tutte le carte per essere una grande narrazione.
Accolto tiepidamente a Venezia, l’ultimo film di un altrove straordinario regista è piatto e dozzinale, pedissequo e ricattatorio. Anche con quella mezz’ora di meno che lo avrebbe quantomeno salvato dall’insufficienza, “22 July” rimane lo stanco prodotto che ad ogni minuto pare concepito apposta per la piattaforma televisiva alla quale è stato destinato.
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