Espandi menu
cerca
22 Luglio

Regia di Paul Greengrass vedi scheda film

Recensioni

L'autore

obyone

obyone

Iscritto dal 15 dicembre 2003 Vai al suo profilo
  • Seguaci 94
  • Post 6
  • Recensioni 523
  • Playlist 18
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi
Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su 22 Luglio

di obyone
6 stelle

 

Jonas Strand Gravli, Isak Bakli Aglen

22 Luglio (2018): Jonas Strand Gravli, Isak Bakli Aglen

Jonas Strand Gravli, Isak Bakli Aglen

22 Luglio (2018): Jonas Strand Gravli, Isak Bakli Aglen

 

Venezia 75. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica. Ricordo perfettamente la sensazione di incredulità quando il telegiornale diede notizia del massacro di Utoya. Lo sgomento che si trasformò in rabbia al pensiero che qualcuno potesse compiere un gesto così efferato nei confronti di un gruppo di ragazzi che avevano come unica colpa quella di credere nel progresso delle idee. Tutte le sensazioni che provai allora dinanzi a quel fatti di cronaca nera sono riemerse durante la ricostruzione del regista Paul Greengrass già avvezzo a raccontare capitoli orribili di storia come la domenica di sangue a Derry del 30 gennaio 1972 ed il dirottamento del 11 settembre 2001 sui cieli di Washington. Stavolta la data è il 22 luglio 2011 giorno in cui Anders Behring Breivik fece esplodere un'autobomba presso i palazzi governativi di Oslo per poi uccidere a sangue freddo, circa 2 ore dopo, oltre sessanta studenti in un campus estivo organizzato dal partito laburista norvegese. Quello che mi piacque in "Bloody Sunday", opera che diede lustro al lavoro del regista inglese, fu il timbro teso e asciutto inusuale per una pellicola pensata, almeno inizialmente, per la Tv. Quel ritmo vibrante Greengrass se l'è ricordato nella prima parte del film che inizia la narrazione degli eventi il 21 luglio per concludersi il giorno successivo con l'arresto del responsabile e il ritrovamento del giovane protagonista, Viljar, ricoverato in nosocomio dove prontamente corrono ad accudirlo i genitori, il fratellino Torje, miracolosamente scampato alla morte, e, successivamente, l'amica Lara, illesa durante il massacro per puro caso. Da quel momento, però, i ritmi serrati del thriller lasciano posto a quelli più blandi del legal-movie e si assiste al processo intentato dallo Stato nei confronti dell'omicida e all'evolversi della storia personale del giovane Viljar Hannsen ferito nel corpo e nella mente. I due punti di vista si avvicinano progressivamente fino a convergere nella deposizione di Viljar al processo Breivik con cui si conclude il racconto. La prima parte del film è quella migliore. Il regista segue i ragazzi sull'isola di Utoya tra partite a pallone, riflessioni formative e alchimie sentimentali di una giovinezza briosa ed inesauribile che guarda con ottimismo al futuro. Mentre i campeggiatori sono lungi dall'immaginare ciò che succederà di lì a poco, noi spettatori, coscienti della tragedia, riflettiamo sui motivi assurdi del massacro seguendo le gesta di Breivik scandite da un montaggio furente e da riprese che si userebbero per raccontare la mattanza alla volpe. Quando la polizia acciuffa Breivik ringraziamo il regista per la pausa emotiva concessa ma non immaginiamo che verremmo colpiti, con altrettanta veemenza, dall'imbarazzo dei genitori di Viljar e Torje: quel rigurgito di umanità che impedisce loro di urlare a gran voce la propria gioia mentre altre madri ed altri padri piangono amaramente la morte dei figli. "Mia sorella non ce l'ha fatta" dirà Lara in ospedale mentre, i coniugi Hannsen si chiedono quale irragionevole logica abbia risparmiato entrambi i loro figli. Non era più congruo che la morte si insinuasse nella loro democratica esistenza? Un tributo di sangue, che placasse il senso di colpa di una morte atroce elusa da un beffardo destino, non era forse più equo? Gli spunti su cui riflettere sono molteplici mentre le parole per esplicarli non trovano lo spazio necessario per spezzare il silenzio riservato a Viljar dal fratello o per scardinare le convenzioni dell'avvocato difensore che non può e non vuole esprimere opinioni davanti al proprio assistito. Nella seconda parte l'impressione è che Greengrass si limiti a svolgere il compitino senza infamia cadendo nella trappola del sentimentalismo fin troppe volte nel seguire la tormentata esistenza del giovane protagonista. Una seconda parte che invita più che altro ad aprire le cateratte del cielo piuttosto che porsi questioni esistenziali. Pizzicare la corda dei sentimenti non è così orribile come commettere una strage in nome di una dissennata convenzione politica ma è sicuramente la via più semplice per arrivare al cuore del pubblico e ottenere facili consensi. Avrei preferito altre vie, più difficili da percorrere, avrei preferito una maggiore concentrazione sulla portata di un evento che ha coinvolto molte persone, una nazione intera. Ma sicuramente è risultata più redditizia l'attenzione particolare al percorso umano di una vittima. In quell'isola ne morirono tanti. Forse avrebbero meritato maggior attenzione anche costoro. Ne avrebbe meritata Hanne sopravvissuta a tre pallottole e costretta a convivere con una vertebra al collo danneggiata; Cecilie, amputata del braccio destro, ma salvata dal dente del giudizio che fermò la corsa del proiettile; Asta trovata morta con un colpo in testa; Adrian che riuscì a sviare le attenzioni di Breivik facendosi credere morto nel sangue delle proprie ferite. Rimane, ben inteso, un film importante per il ruolo di denuncia a certa politica che sta rialzando pericolosamente la testa in tutta Europa. Su questo non ci piove. Tutta la serie di polemiche su Netflix ha dato risalto ai film presenti a vario titolo a Venezia compreso questo di Greengrass. Per una volta gli effetti di tale pubblicità potrebbero essere benefici se qualche distributore di buona volontà approfittasse dell'onda lunga della bega innescata, prima e dopo il festival, per portare in sala "U - July 22" presentato alla Berlinale 2018 e diretto dal norvegese Erik Poppe, che diversamente avrebbe poche chance di uscire. Forse un punto di vista interno della vicenda sarebbe senz'altro interessante e sicuramente verrebbe enunciato nella lingua madre. Mezza stella in meno è riservata a "22 july" per un cast norvegese al servizio di una lingua che non gli appartiene. Scelta quanto meno opinabile che ha influenzato, non certo positivamente, la mia personale visione del film che nel complesso valuto sufficiente e meritevole.

 

Seda Witt

22 Luglio (2018): Seda Witt

Anders Danielsen Lie, Jon Øigarden

22 Luglio (2018): Anders Danielsen Lie, Jon Øigarden

 

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati