Regia di Valerio Zurlini vedi scheda film
Dal romanzo autobiografico di Pratolini: un bambino, dopo che la madre è morta mettendolo al mondo, viene affidato al maggiordomo di un nobile che lo alleva nella bambagia, tenendolo di fatto separato dalla famiglia di origine (e addirittura cambiandogli nome, da Dino a Lorenzo; nella realtà fu da Dante a Ferruccio), ma che poi impoverisce e lo lascia impreparato ad affrontare la vita, malaticcio e destinato a una morte precoce. Il libro assume il punto di vista del fratello maggiore e rappresenta l’elaborazione di un senso di colpa (“una sterile espiazione”, la definisce l’autore): nei confronti del fratello minore il narratore prova infatti prima risentimento (la madre è morta per “colpa” sua), poi invidia (ha un’esistenza più agiata), infine compassione (lo vede più debole e indifeso di lui). Il film ne riprende il tono sommesso e dolente (con l’incongrua aggiunta di una colonna sonora roboante); tuttavia la vicenda era più adatta a essere raccontata in prima persona che oggettivata in dialoghi. Mastroianni e Perrin funzionano presi singolarmente, ma sono poco credibili come fratelli.
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