Regia di So-ri Moon vedi scheda film
Far East Film Festival 20 – Udine.
Ogni età ha i suoi ostacoli da superare, che costituiscono momenti delicati durante i quali lo sconforto può prendere il sopravvento, inducendo al disincanto e alla rassegnazione. Una spiacevole condizione esistenziale che non vale solo per le persone comuni, ma anche per le star, quei personaggi pubblici e popolari che invidiamo e vediamo sempre sorridenti e perfetti quando fanno capolino in televisione, ma che poi, una volta scesi nel privato, devono comunque confrontarsi - come qualunque altro essere umano - con demoni interiori, per contrappasso potenzialmente ancora più pugnaci.
Uno stato emotivo combattuto e logorante, che offre alla popolare Moon So-ri, già premiata come miglior attrice emergente a Venezia nel 2002 con Oasis e protagonista in titoli come Peppermint candy e La moglie dell’avvocato, l’occasione di mettere in pratica quelle metodologie di creazione che ha assimilato dai grandi autori da cui è stata diretta.
Assente dal set da qualche tempo, Moon So-ri è in attesa di una chiamata importante, che però tarda ad arrivare. Già in ansia per questo motivo, subisce ulteriori contraccolpi da parte di conoscenti e parenti che, con le loro parole, non la rassicurano in alcun modo, anche quando sarebbe proprio questo il loro obiettivo.
Le rimangono giusto da affrontare i piccoli problemi tipici di ogni giornata delle persone comuni, quando una notizia imprevista la scuote profondamente.
Per esordire al cinema come autrice, non c’è niente di meglio che parlare di se stesse, un campo tematico che – almeno sulla carta – dovrebbe essere più conosciuto di qualsiasi altro, creando le migliori condizioni di partenza.
Certo, non mancano comunque le insidie, perché è necessario mettersi a nudo e per avere delle buone possibilità di riuscita, bisogna sentire - realmente e profondamente - quanto si racconta, una conditio sine qua non imprescindibile, veicolo indispensabile per non precipitare in un azzoppante e deleterio artificio.
Forte anche delle sue esperienze formative al servizio di autori del calibro di Lee Chang-dong e Hong Sang-soo, oltre che reduce dalla lezione impartita dalla Nouvelle Vague, Moon So-ri trova la chiave del forziere, ricorrendo a un processo autobiografico lontano dall’autocelebrazione, con una serie di diapositive personali che le consentono di scendere dal piedistallo della notorietà per peregrinare con piglio ironico in un reticolo di paranoie comuni.
Un’intelaiatura che contempla l’impossibilità di far inceppare l’orologio biologico, l’importanza nella vita di bellezza e bravura, la distanza che separa il versante pubblico (luccicante e spavaldo) da quello privato (abitato da insicurezze e confusione) dei personaggi noti, con l’ansia di non riuscire a ottenere quelle conquiste quotidiane desiderate con tutte le proprie forze.
Temi snocciolati in uno svolgimento fluido, che respinge ogni principio di forzatura, con un ricettario che attinge al cinema anche sotto il punto di vista della cinefilia, ad esempio attraverso uno spiritoso parallelo tra la protagonista e Meryl Streep, sottolineando come le parole da utilizzare nei discorsi vadano scelte con oculatezza, ma anche come talvolta non ce ne siano da pescare di realmente appropriate.
Dunque, c’è materiale sufficiente per forgiare un film minuto ma loquace, che parte con il piede giusto e arriva rallentando appositamente il ritmo, con metaforiche braccia alzate al cielo come un ciclista che taglia il traguardo con un ampio margine di vantaggio sugli inseguitori, riuscendo a sorridere anche quando nell’aria si respira un lutto sentito, con semplici movimenti di macchina che valgono più di mille parole e una sequela di immagini che spingono la mente a separarsi per alcuni istanti dalla realtà (senza scordare un ricorrente motivetto hitchcockiano).
Un toccasana, per lei ma anche per lo spettatore, che per circa settanta minuti è avvolto da una fragranza poetica e - ancor prima - di rara, quanto soave, umanità.
Autentico e pieno di gradevole grazia.
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