Regia di Kevin Spacey vedi scheda film
Il criminale titolo in italiano piazzato da presunti maghetti del marketing, non vuole che richiamare - per un casareccio farsi forza - il mitico I soliti sospetti, film dove Kevin Spacey giganteggia da attore, mentre qui ci offre, in regia, un'opera prima di rara efficacia.
Anche nel titolo originale, Albino alligator (l'alligatore bianco utilizzato come vittima sacrificale dal branco), Spacey cerca di riprodurre la chiave del coacervo umano rinchiuso in ambito claustrofobico, dramma teatrale ad eliminazione diretta, caro al regista ed antesignano dei fortunati e recentissimi Hatefull Eight.
Introdotto da raffinate inquadrature, geometrie inquetanti, ralenty dalle tonalità grigiastre e scolorite e musiche di cupa d'atmosfera del fenomenale Michael Brook (che già ci aveva estasiato con la colonna sonora di Heat); il film alterna siparietti di famelica disumanità all'interno del bunker improvvisato; a quadretti di ciniche, dispettose, e a volte esilaranti, esterne tra stampa e polizia, in un'esasperante escalation di uomini contro che mirano solo al loro personalissimo tornaconto, evidenziando mano a mano debolezze, prepotenze, sotterfugi, isterismi, segreti e spavalde fragilità. Ognuno dei protagonisti un albino alligator da offrire in sacrificio di una sempre più chimerica libertà.
Chiave di successo della pellicola, oltre la progressione emotiva che incolla lo spettatore allo schermo, anche l'impietoso politically incorrect dell'epilogo, dove la miseria umana salva una delle tante facce costretta a esibire per sopravvivere, e sembra stupirsi di quanto possa essere magnanimo il fato, per poi magari fotterti impietosamente, un attimo dopo, appena voltato l'angolo della vita...
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