Regia di Joanna Hogg vedi scheda film
…non avrei mai dovuto fare il regista, il cinema è una cosa per pazzi. Il giardinaggio è centrale, con il giardinaggio si entra in un’altra dimensione del tempo, nell’eterno, nei ritorni e nelle resurrezioni. Derek Jarman
Cronaca di un amore impossibile o cronaca impossibile di un amore? Sembra che sia questo lo snodo primario che attanaglia lo spettatore dopo la visione di The Souvenir, della non più giovane regista inglese Joanna Hogg, a suo tempo discepola di Derek Jarman e amica di Tilda Swinton, musa indiscussa di uno degli artisti più corrosivi e poliedrici degli anni 80. Film dalla forte impronta autobiografica, interpretato dalla figlia della Swinton, che contiene anche una parte minore ma significativa per la superstar Tilda. La protagonista Julie studentessa di cinema è in procinto di realizzare il suo primo lungometraggio, smaniosa di varcare quella soglia simbolica che le permette di entrare a tutti gli effetti nella vita adulta, ma anche di vedere materializzarsi quel mondo artistico al quale aspira e con il quale sente di condividerne lo sguardo sulla vita. Conosce Anthony, un dandy trentenne che possiede buone conoscenze artistiche. La scintilla definitiva scocca davanti ad un quadro che dà il titolo al film, del pittore francese del settecento Jean Honorè Fragonard. Emblematicamente raffigura il ritratto di una donna che incide su di un albero il nome dell’amato. Già qui direi che il lato fisico dell’improbabile relazione sarà intuibilmente.. secondario. Battuta a parte vale spendere una riflessione sulla scelta di un’immagine che sintetizza il significato del film, dato che si conquista anche il titolo. La figura ritratta in tale situazione nella visione di Anthony può rappresentare un femminile astratto e irraggiungibile, non tanto per un paragone narcisistico che sembra scaturire dalla sua persona, ma dalla sua incapacità di esprimersi verso un sentimento amoroso reale e aperto. Per Julie invece immersa nella sua nuova imminente catarsi artistico creativa, diventa un modello relazionale nel quale accettare ogni scorrettezza e ogni abuso che Anthony le fa subire, come se si dovesse trattare di un aspetto normale per accedere al suo nuovo mondo. Nella rappresentazione dei due personaggi si gioca magistralmente tutta la capacità creativa della Hogg. L’immagine pittorica cerca una dimensione cinematografica che sappiamo essere un veicolo di ricerca della realtà. Ecco allora che con la rarefazione dei dialoghi, una costruzione dei profili psicologici che avviene sempre per sottrazione, la storia progredisce pur nella sua asciuttezza formale ed elegante, unicamente per immagini, per puri stati d’animo percepiti e non spiegati a caratteri cubitali. Il risultato ottenuto tra l’altro fornisce almeno a me personalmente una chiave di lettura ancora ribaltata rispetto a ciò che mostra: Julie la ragazza indifesa sfruttata nel suo sentimento amoroso è razionale, logica dunque pronta a superare le avversità di relazione, Anthony apparentemente carnefice del rapporto diventa vittima di se stesso e potenziale soggetto dell’amore vero. L’unicità di entrambi li rende lontani dagli schemi convenzionali, e per quel poco che sapremo delle loro origini, ne scaturisce un ritratto conflittuale verso valori che stanno alla base dei loro caratteri. In omaggio al classicismo inglese, il film si chiude(non è spoiler) con un’immagine di un ambiente esterno che libera il film da tutta la sua struttura abbastanza claustrofobica. C’è del verde in lontananza, che sia quel giardino in cui Jarman voleva rifugiarsi?
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